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Chiara Lubich: una spiritualità per costruire il “castello esteriore”

Di Alba Sgariglia

All’inizio del terzo millennio, tra le forti tensioni esistenti di guerre, conflitti, disuguaglianze, difficoltà ambientali, paradossalmente, l’anelito ad una comunione sembra una realtà molto sentita. E forse è proprio per questo motivo che nelle numerose spiritualità attuali – tutte doni elargiti dallo Spirito − sono spesso ricorrenti parole come unità, comunità, comunione. Tra esse si colloca il carisma dell’unità, donato a Chiara Lubich, dal quale è nata una corrente spirituale che ben esprime questa odierna tendenza ecclesiale.
Si tratta di una spiritualità, personale e comunitaria insieme, che propone l’impegno a edificare il cosiddetto “castello esteriore”, cioè la presenza viva di Cristo nella comunità. Essa è caratterizzata da una visione e da una prassi di comunione, di vita ecclesiale, nella quale vi è la reciprocità del dono personale e la dimensione del diventare “uno” (cfr. J. Castellano, cit. in C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma 2002, p. 15) proposti come stile di vita possibile a tutti.
Fin dalle origini della storia di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari si ritrovano elementi che preludono ad essa. Episodi nei quali possiamo ravvisare i primi segni rivelatori di una nuova spiritualità.
Come è noto, tutto è iniziato a Trento in pieno secondo conflitto mondiale. In quel contesto di guerra e di distruzione, Dio si è manifestato a Chiara come Amore («La prima scintilla ispiratrice», così la definiva Giovanni Paolo II; cfr. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Ed. Vaticana, VIII/2, Roma 1984, pp. 223-225). Questa scoperta non si è fermata a lei, ma è stata subito comunicata alle sue compagne che − tutte − sceglievano Dio come unico ideale della vita.
«Tu − scrive Chiara ancora nel 1944 − sei stata con me abbagliata dalla luminosità infuocata di un ideale che tutto supera e tutto riassume: dall’infinito amore di Dio!» (Una via nuova, p. 34). Nelle lunghe ore trascorse nei rifugi, aprendo il Vangelo, venivano in particolare rilievo, a Chiara e alle prime focolarine, quelle parole di Gesù che più esplicitamente parlano di amore.
Iniziano perciò subito ad aiutare i poveri della città, nei quali riconoscono il volto di Gesù sofferente; più avanti, a riconoscere ed amare Gesù in ogni prossimo, mettendo in atto la cosiddetta “arte d’amare” che esige il Vangelo (C. Lubich, Il servizio che il carisma dell’unità può dare oggi alla Chiesa, alla Conferenza Episcopale Croata, Zagabria, 15 aprile 1999).
E sperimentano che questo amore sfocia nell’unità con Dio e con i fratelli, che esprime un modo di vivere comunitario: la reciprocità del dare e del ricevere.
L’unità è ciò che caratterizza la spiritualità collettiva e la distingue da altre che lungo i secoli hanno arricchito e abbellito la Chiesa: vivere l’unità, contribuire cioè alla realizzazione della preghiera di Gesù «Padre che tutti siano uno», allargando lo sguardo all’intera umanità.
Chi rende poi l’unità piena e completa è l’Eucaristia.
L’accostarsi all’Eucaristia il più frequentemente possibile è un altro punto imprescindibile per vivere questo cammino spirituale, personale e collettivo insieme. L’Eucaristia ci fa tutti uno con Cristo e quindi Cristo, e di conseguenza uno fra noi.
Ma una scoperta davvero centrale della spiritualità dell’unità è senz’altro la misura dell’amore reciproco richiesto a noi uomini: un amore senza misura nel dare tutto, nel non riservare nulla per sé stessi, nell’essere pronti a dare la vita, ma anche ogni ricchezza spirituale e materiale.
È la misura di Gesù che sulla croce grida l’abbandono (Mt 27,46).
Egli si è rivelato a Chiara come la più luminosa spiegazione di cos’è l’amore vero, pieno e autentico e, al contempo, la “via” per realizzare l’unità.
Ma cosa è l’unità. Chiara offre una brevissima ma efficace formula per definirla: «È Gesù fra noi» (cfr. Mt 18,20; in C. Lubich, L’unità e Gesù Abbandonato, Città Nuova, Roma (1984) 200811, p. 34).
L’unità, infatti, porta un incommensurabile dono: la presenza di Gesù tra coloro che la vivono (C. Lubich, Scritti Spirituali/3. Tutti uno, Città Nuova, Roma (1979) 19964 , p. 163).
Anche in questo aspetto è evidente ciò che caratterizza una spiritualità comunitaria: occorre essere almeno in due uniti nel suo nome, cioè nel suo amore, per poterLo avere fra noi, edificando così quel “castello esteriore” che rende viva la presenza del Risorto nel mondo.
E con il tempo questa speciale presenza di Gesù si è rivelata di un’attualità sorprendente. In un mondo secolarizzato, materialista, indifferente, che ha influito sulla stessa Chiesa, sappiamo quanto sia spesso difficile parlare di Gesù perché è visto come una realtà lontana, superata. Ma se i cristiani, attraverso l’amore reciproco, lo fanno vivere in mezzo a loro, molti Lo possono ancora incontrare. Ed è ricorrente esperienza che lo incontrino davvero.
Qualche cenno su Maria, con la quale il Movimento ha un legame tutto speciale. Esso, infatti, porta il nome di Opera di Maria (Una via nuova, p. 58).
Chiara scrive: «Sono entrata in chiesa un giorno e col cuore pieno di confidenza Gli chiesi: “Perché volesti rimanere sulla terra, su tutti i punti della terra nella dolcissima Eucaristia e non hai trovato − Tu che sei Dio − una forma per portarvi e lasciarvi anche Maria, la Mamma di tutti noi che viaggiamo?”. Nel silenzio sembrava rispondesse: […] “Non l’ho portata perché La voglio rivedere in te”» (C. Lubich, Meditazioni, Città Nuova, Roma (1959) 202029, p. 51).
Essere un’altra Maria, una piccola Maria, e cioè imitarla nella sua maternità spirituale che guarda alle creature per
unirle, oltre che con Dio, fra loro.
Maria, quindi, Madre dell’unità.
Dunque, la parola chiave della spiritualità collettiva, scaturita dal Carisma donato a Chiara Lubich, è proprio l’unità.
L’unità va messa a base di ogni rapporto per mantenere viva la presenza di Gesù fra due o più persone e creare comunità che mostrino Lui Risorto nel mondo di oggi.
La spiritualità dell’unità − frutto di un carisma donato da Dio al nostro tempo −, è dunque chiamata a edificare un “castello esteriore” per, e nel mondo ecclesiale e civile, rendendo sempre vivo l’incontro con Gesù Risorto presente fra quanti vivono per la realizzazione dell’ut omnes unum sint (Gv 17,21: «perché tutti siano una sola cosa»).

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