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Cirillo di Alessandria-Non rifiutiamoci di ricevere l’Eucarestia

di Enzo Napoli
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). Cirillo di Alessandria commentando il Vangelo di Giovanni si trova diverse volte a parlare del mistero della comunione tra l’uomo e Dio nell’Eucaristia. Per far intendere come fossero possibili le parole del Signore usa l’analogia della cera: «Come unendo la cera ad altra cera si vedrà che l’una è nell’altra, allo stesso modo chi riceve la carne di Cristo, nostro Salvatore, e beve il suo sangue prezioso, come egli dice, si trova a essere una cosa sola con lui, unito e mescolato a lui attraverso la partecipazione, cosicché lui si trova in Cristo e Cristo si trova in lui». Questo passo è anche comprensibile alla luce del Vangelo secondo Matteo, quando il Maestro dice: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre misure di farina, finché sia tutta fermentata» (Mt 13,33). Cirillo, citando Paolo quando dice: «Un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta» (1Cor 5,6), mostra che alla stessa maniera «una piccolissima particella di pane eucaristico si mescola a tutto il nostro corpo e lo riempie della sua energia, e così Cristo viene a essere in noi e noi, a nostra volta, in lui». Una volta compreso quanta grazia ne viene dall’unione con Cristo nella Santissima Eucaristia ecco allora che il Vescovo di Alessandria, con forza, incoraggia tutti i fedeli a non esitare nell’accostarsi alla mensa eucaristica, allontanando ogni tipo di senso di colpa che, suscitato dal nemico, fa sentire indegno il fedele e lo allontana dalla Vita: «Se ardiamo d’amore per la vita eterna, se desideriamo avere in noi colui che ci dona l’immortalità, non rifiutiamoci di ricevere l’eucaristia come fanno i più negligenti, e badiamo che il diavolo, abilissimo nel tendere insidie, non appresti contro di noi un laccio e un tranello, cioè un senso di timore dannoso. Vi è chi dice infatti: “Sta scritto: Chi mangia di questo pane e beve di questo calice indegnamente, mangia e beve la propria condanna (1Cor 11,29). Io mi sono esaminato e mi considero indegno”. Quando dunque sarai degno, tu che ci vieni a dire queste cose? Quando starai davanti a Cristo? Infatti, se le tue cadute ti spaventano, e del resto non cesserai mai di cadere – come dice il santo salmista: “I peccati, chi li discerne?” (Sal 18 [19], 13), ti troverai a non partecipare per nulla a quella santificazione che ci salva per l’eternità. Perciò stabilisci di vivere rettamente, con uno spirito maggiormente fedele al vangelo e partecipa all’eucaristia, credendo che essa scaccia non soltanto la morte, ma anche le nostre debolezze. Cristo presente in noi placa la legge della carne che imperversa dentro di noi, accende lo zelo per Dio e mette a morte le passioni non imputandoci i peccati in cui siamo caduti ma piuttosto curandoci come malati».
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