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Deporre i pesi e alzare lo sguardo

GOCCE DI SCRITTURA

L’Epistola agli Ebrei /17
Deporre i pesi e alzare lo sguardo

Di Giuseppe Pandolfo

Il cammino della vita cristiana possiamo sintetizzarlo con un’espressione: diventare capaci di amare, come Gesù ha amato. Non c’è altra meta nella vita di fede che conformare il nostro cuore a quello del figlio di Dio. Il capitolo 12 della Lettera agli Ebrei sintetizza questo concetto attraverso diverse espressioni molto forti e incisive rivolte ai fedeli, che sono invitati a sostenere la lotta delle persecuzioni e delle prove fino al sangue (μέχρις αἵματος) perché fino al Sangue il Signore ha lottato e ha donato la vita per noi.
Tenendo conto che il nostro autore pone il Figlio di Dio come modello di questa lotta, questo invito potrebbe sembrarci abbastanza lontano rispetto alle nostre reali capacità. Per questo motivo egli sottolinea da subito che siamo circondati “da un gran numero di martiri”, ovvero testimoni che sono quegli amici e fratelli che hanno sostenuto questa lotta. Ciò che a noi tocca fare è deporre tutto ciò che ci è di peso e il peccato che ci impedisce in questa lotta e quindi «tenere fisso lo sguardo su Gesù» colui che da origine e completa la nostra fede.
La riflessione che riguarda soprattutto i primi versetti di questo capitolo, mette in evidenza tutto questo comprendendo l’agire di Dio come un’opera educativa di un padre nei confronti dei suoi figli, «per cui il Signore corregge colui che egli ama». È per questo motivo che si rende necessario il fatto di dover mettere da parte i pesi e i peccati, che sono le cose che ci ostacolano a guardare a Gesù a conformarci al suo modo di amare in maniera oblativa; anche lui infatti come vero Figlio si è sottoposto all’ignominia e alla croce, ha sopportato l’ostilità dei peccatori, ma nella consapevolezza che il Padre aveva da educare in lui la nostra umanità affinché anche noi non ci stancassimo nelle nostre prove vendendo in Lui il compimento di quella alta pedagogia divina con cui il Padre ci guida nel cammino.
La nostra reale lotta non è semplicemente quella che ci viene dalle persecuzioni, a volte noi lottiamo con i nostri peccati verso i quali maturiamo una certa affezione così come nei confronti di quei pesi e resistenze che ci impediscono di sollevare lo sguardo all’uomo della croce, davanti al quale la nostra coscienza viene guarita dalla ferita della colpa e la nostra volontà viene rinvigorita. Lo sguardo fisso sull’uomo della croce non è solo un semplice guardare a qualcosa. La sfumatura terminologica dell’espressione “tenere fisso lo sguardo” (in greco ἀφοράω) sottolinea l’importanza di “dirigere la propria attenzione senza distrazioni”. Non si può guardare a Gesù e contemporaneamente distrarsi da Lui, ovvero volersi conformare a lui e allo stesso tempo desiderare di amare in maniera diversa da Lui; è questo infatti il vero senso dei pesi e del peccato che siamo invitati a deporre. Deporre i pesi e alzare lo sguardo non perché le cose risultino più facili ma per comprenderci dentro una lotta che ci trasforma sempre di più ad immagine del Figlio di Dio.

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