dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Don Luigi Achille

Di Giandomenico Piepoli
Nell’Istoria della Casa di Missione di Albano. Anno 1825, a pagina 30, sul bordo sinistro in alto, si legge: 1825 Morte del nostro Missi.o Sig. D. Luigi Achille. L’autore del manoscritto è il nostro don Giovanni Merlini che così inizia l’elogio del Missionario: «Prima di passare innanzi sarà bene dare un breve cenno del nostro Miss.o Sig. D. Luigi Achille … ottimo compagno». Da questo bellissimo elogio, assieme ad altre notizie lasciateci dallo stesso don Giovanni e da don Antonio Santelli nella Vita del Canonico Don Gaspare Del Bufalo, ho potuto stendere questa pagina su don Luigi Achille e il suo tempo nella Congregazione. È ricordato come modello di umiltà, di obbedienza e di attaccamento all’Opera. L’Arcivescovo di Spoleto, Mons. Mario Ancaiani (1821-1827), disse ad un Missionario: «In Giano avete don Achille che è un santo!».
Nacque a Civitacastellana, in provincia di Viterbo, da Giovanni e Maria Sacchetti, l’8 aprile 1753. Dopo gli studi e ordinato sacerdote, si stabilì a Roma ed esercitò con zelo il sacro ministero. Dotato di un’ottima voce di baritono, fece parte anche della Cappella Pontificia. Ebbe un contegno sempre maestoso, fuggiva la compagnia e i divertimenti. Lo studio, la scuola, e la Chiesa occupavano tutta la sua giornata. Integerrimo di costumi lo chiamavano “il nemico delle donne”; il suo limpido comportamento lo rendeva amabile a tutti. Don Michele Colagiovanni, con ricerche condotte nell’Archivio Segreto Vaticano sui “Sacerdoti romani” in Epoca napoleonica, nel libro sulla Casa di Missione di Albano annota a pag. 78 che, «salvo caso di omonimia, prestò il giuramento richiesto da Napoleone. Figura, infatti, nell’elenco dei lapsi». Don Antonio Santelli, nell’opera citata, riferisce che, non ostante l’età avanzata, 62 anni, san Gaspare lo vide idoneo all’impresa dell’Opera e don Luigi accettò di unirsi alla fondazione, accolse l’invito a recarsi a San Felice e fu tra i primissimi suoi Missionari. Fu subito apprezzato come sacerdote esemplare, adorno di pregevoli virtù ma la sua umiltà lo faceva risultare inetto ad ogni ufficio. In realtà però fu ritenuto molto capace nell’ufficio di economo e inoltre ben preparato per le confessioni. Si distinse per i suoi talenti e lo spirito di obbedienza più volte riprovato anche in situazioni difficili a causa della sua età. A Giano si occupò subito della custodia della Chiesa e della cura delle anime mentre gli altri Missionari andavano in giro predicando le Missioni. «Nel periodo di San Felice figura talvolta come parroco di Castagnola» (Colagiovanni). Don Santelli annota che «assistito dagli inservienti Bernardino Sardegna e Giosafat Petrocchi, nella sua età avanzata faceva quanto più poteva; ma scrivendo in Roma al canonico Del Bufalo e a Gonnelli, di esser solo si querelava: “Mi sta fisso in testa siccome un chiodo il proverbio Veh soli” [guai a chi è da solo]».
Nell’elogio di don Giovanni Merlini leggiamo che fu «sollecito nell’osservanza, era il primo a levarsi, pronto al ritiro allo studio, e quant’altro prescrive la Regola. Attento all’Orario … delicatissimo nella pulizia … e vigilava perché si mantenesse in Chiesa ed in Casa. Non parlava mai in suo favore. Non voleva mai cariche, e le accettava per sola obbedienza. Viveva ritirato, e si trovava per lo più o in Chiesa o in Coretto o in Cammera. Dedito all’Orazione se la passava volentieri innanzi al S. Sacramento nel tempo che gli rimaneva libero dopo di aver eseguito le sue incombenze che adempiva con molta sollecitudine e spirito …».
Don Luigi molto imparò e prendeva forza stando accanto a don Gaspare, vedendo come «fra tante occupazioni del laborioso ministero apostolico, pure in mezzo a tante impresse per la gloria divina non perdeva di vista la fondazione di Giano, le opere pie di Roma e in special modo l’anima sua». Egli teneva un continuo contatto con don Luigi per trattare dei progressi dell’Opera, le spese da sopportare per attrezzare la Casa dei particolari bisogni, mobilio, letti, biancheria e altro, e poi gli partecipava quell’ansia per «cercare in ogni parte ecclesiastici almeno provvisori per sostenerla».
«L’Istituto – scrive don Santelli – nel 1819 era bambino nelle fasce e il direttore generale con due case aperte non aveva che soli quattro soggetti stabili: Bonanni, Valentini, Achille e Betti; gli altri erano detti missionari in sibsidium o avventurieri». Quindi don Luigi visse a San Felice di Giano, sin dai primi giorni di fondazione, quando sia don Gaetano Bonanni che don Gaspare vedevano il loro coraggio ed entusiasmo messi alla prova per la mancanza di sacerdoti. Nella deposizione di don Giovanni Merlini ascoltiamo la voce di don Bonanni su «questo poco numero che siamo; ma non per questo ci perdiamo di coraggio, perché Iddio manderà operai … mancano quelli nei quali più si confidava. Che l’opera sia di Dio non ne possiamo dubitare, che il bene si faccia da queste parti si vede con gli occhi. Le richieste sono continue per andare in missione in diversi luoghi, ma non vi si può attendere, finché non vengano altri soggetti … vi vogliono operai; chi ha cominciato, che è Dio, darà anche l’incremento e perfezione dell’opera». Lo stesso don Giovanni con un velo di tristezza richiama alcuni che «il Servo di Dio aveva guadagnato all’Opera, ma si ritirarono tutti, chi per motivi di famiglia, chi per mancanza di salute, chi per onesta promozione e chi per altri giusti motivi. … e non poté nei primi tempi avere stabile che il signor don Luigi Achille …».
In seguito, negli anni 1819-1821, don Luigi, fu per breve tempo nella Casa di Pievetorina dove all’Istituto fu messo a disposizione il locale di sant’Agostino, già abbandonato dai Padri Passionisti. Da don Giovanni Merlini apprendiamo che, stando a Terracina, don Gaspare scrisse una lettera «al signor don Luigi Achille in data del 5 dicembre 1821». Don Luigi era invitato a partire per il «castello di Sonnino» con i padri Bassotti e Brandimarte e altri per una Missione da iniziare nel giorno dell’Immacolata Concezione e aprire la nuova Casa. Scritta con vera cura paterna, la lettera dà consigli precisi per poter superare pericoli, difficoltà durante il viaggio e per trovare dove fermarsi a riposare. La Missione poi di «quindici giorni interi» è descritta da don Gaspare in tutti i particolari, dalle camere per alloggiare i Missionari, la loro orazione mentale, gli inservienti, gli orari da seguire, alla distribuzione dei compiti, prediche, oratorio, catechesi, dottrina, messe, confessioni. Tutto è espresso con chiarezza e brevità, tutto egli scrive ad cautelam; «sono in fretta», dice, e il metodo don Luigi «già deve ben conoscerlo». Tatto e piena fiducia nell’anziano don Luigi che durante la Missione ebbe mansioni delicate da svolgere. Il finale della Missione lo racconta don Santelli: «In onta alle arti maligne dell’angelo delle tenebre, in un paese pieno di vendette e di odi, di omicidi e di furti, di pericoli e di danni, con la celeste grazia dai figli del Canonico, in mezzo a tante vicissitudini, fu la missione saviamente a lieto fine condotta».
Nel 1821 don Giovanni Merlini riferisce dell’arrivo di don Luigi ad Albano e del fatto che «ogni anno il nemico del Sangue di redenzione, nella sua festività, di promuovere qualche disordine ha per maligno costume». Nella prima domenica di luglio, festa del Preziosissimo Sangue, il maligno non poté non manifestare la sua ira contro i Missionari che fra tante peripezie cercavano di sistemarsi e non potevano ancora risiedere nel monastero. Ogni difficoltà fu superata e il vecchio don Luigi correva sempre trasportando roba per la sistemazione della Casa.
Dal 15 al 20 giugno 1822 si tenne la Missione a Benevento: «Quattro colà furono i compagni di Del Bufalo: il canonico don Innocenzo Betti, don Luigi Achille, don Vincenzo Mancini e don Giambattista Icucci; gli ultimi due ausiliari» (Santelli).
In fine, stabilitosi nella Casa di San Paolo in Albano don Luigi qui venne colpito da apoplessia nel giorno dell’Annunciazione, anniversario dell’apertura della Casa. Dopo diciannove giorni di malattia e di dolori che sopportò con grande rassegnazione, il 13 aprile del 1825, ricevuti i Sacramenti, rese l’anima al suo Creatore in età di anni 72 circa. Fu eseguito il solito funerale di Regola e venne seppellito nel sepolcro del monastero nel presbiterio.

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