dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Don Turibbio Lenta

Da Giandomenico Piepoli
Nato a Roma, era, al dire di San Gaspare, tra i migliori sacerdoti della città; fu discepolo di mons. Albertini. Verso la fine del 1820, essendo già “sui 40 anni, e forse più maturo in virtù”, secondo note di archivio, si unì all’Istituto ed entrò nella Casa di Giano ai primi di gennaio 1821. Ivi cominciò subito ad esercitare il sacro ministero, predicando corsi di Esercizi e dedicandosi ad altre forme di apostolato. In comunità ebbe le cariche di Economo e di Direttore degli Esercizi interni.
Nel novembre del 1815 don Gaspare, in viaggio per Benevento, sostò a Terracina e riuscì ad incontrare il compagno di studi don Luigi Locatelli che si era legato agli Operai Evangelici. Questi pensava d’intraprendere la carriera accademica, entrava poi nel noviziato dei Gesuiti a Pavia, per andare in India, cercando di allontanarsi da Terracina. «Le tue Indie sono Terracina», replicò don Gaspare dopo averlo ascoltato, certamente illuminato sul futuro che avrebbero avuto insieme.
Complessi progetti di Riforma erano in cantiere a Roma; al momento si concentravano sulle diocesi di Terracina, Priverno e Sezze, dove da qualche tempo persone legate all’Arciconfraternita e agli Operai Evangelici avevano operato con coscienza. Si pensò di mandarvi come vescovo don Francesco Albertini. Don Gaspare ebbe l’incarico di comunicarlo al caro padre il quale nel suo amore per il nascondimento non si convinceva. Alla fine tutto si conformò al divino volere. Don Gaspare riuscì nell’impresa e esprimeva la sua felicità dicendo che qualsiasi parola si potesse dire sulla virtù di quell’uomo, sarebbe stata sempre poca. Don Albertini entrava perfettamente nel progetto di Riforma; si parlava di “Progetto di cultura religiosa” per la popolazione del territorio del brigantaggio e delle paludi malariche. Senza meno vi prenderà parte il canonico del Bufalo con l’esperienza dell’apostolato delle Missioni che entrambi sostenevano con grande passione e nella condivisione della contemplazione del Sangue della Redenzione.
La consacrazione episcopale di don Francesco Albertini avvenne il 18 aprile 1819, nella chiesa di San Nicola in Carcere. Il neo eletto voleva le diocesi disseminate di Case di Missioni come un luogo di formazione permanente per sacerdoti e laici. L’8 maggio mons. Albertini prese possesso della sua sede.
Dopo poco meno di un mese rientrò a Roma per evitare il brusco impatto con l’estate delle paludi. Furono mesi assai fecondi, specie per dare più sostegno all’Arciconfraternita e all’Istituto delle Missioni e Spirituali Esercizi: due grandi opere, come due armi, per curare la vigna che il Signore gli aveva affidato.
Per l’ingresso ufficiale attendeva che don Gaspare fosse libero da impegni per avviare l’apostolato episcopale con la predicazione di Missioni popolari e l’organizzazione di Case di missione. Mons. Albertini impetrava la forza del Sangue di Cristo affinché infiammasse il nuovo ministero e i cuori di tutti a conversione. Tra un gran fermento di attese e preparativi, la Missione a Terracina iniziò la mattina dell’8 novembre.
La partecipazione del vescovo e la sua pietà dicevano con chiarezza che egli prendeva su di sé le pene del popolo per il quale invocava amore e riconciliazione, e che riprendesse a sperare. Quand’ecco che cominciarono a verificarsi casi di febbre malarica.
Il vescovo non poté nascondere i sintomi della malaria, nonostante raccogliesse le forze per infondere coraggio e vigore nei primi passi della diocesi.
Il 24 novembre, col conforto della Santa Unzione, raccomandando la devozione al Preziosissimo Sangue, la pace e la concordia fra tutti, spirò pregando.
Don Luigi Locatelli e don Giuseppe Visconti hanno lasciato dettagliate relazioni sulla sua morte.
Terracina e dintorni erano terre durissime a vivere, anche i vescovi e i preti cercavano sedi migliori. Terra di incursioni, poi di brigantaggio e soprattutto infestata da paludi che portavano frequenti infezioni malariche. Qui San Gaspare decise di continuare la missione di mons. Albertini.
Il canonico romano disponeva di un gruppetto di ecclesiastici stimati, sacerdoti secolari da additare a modello per tutti gli altri sacerdoti. Ebbe la fiducia dei briganti, li andava a incontrare in zone impervie e con lunghi cammini. Anch’essi erano da accogliere nella Chiesa nata nel Sangue di Cristo. Come Gesù, don Gaspare ne aveva compassione e incitava i Missionari a sentire la loro voce.
Quanto aveva condiviso col suo Direttore don Albertini non lo legava solo all’opera romana ma lo appassionava anche per la sorte di altre popolazioni e ora voleva impiantarlo nelle zone di Terracina, la provincia ufficialmente chiamata Campagna e Marittima. Disposta saggiamente ogni cosa, don Gaspare decise di aprire la Casa a Terracina, con una Missione in tutta regola.
Pensava: il dono ricevuto se non diventa missione, muore senza alcun frutto.
Ciò spinge san Gaspare a dare speranza ai Missionari per non esitare a lasciare tutto e abbracciare la croce dei disagi e tribolazioni nelle terre del brigantaggio.
Nella Deposizione don Giovanni Merlini osserva che egli prendeva fiducia nel sentire la mano di Dio sulle fatiche dell’Opera e, anche nella morte seminata dal brigantaggio e dalla malaria, lo consolava vedere quanti tornavano alla penitenza e all’altare e divenivano più mansueti.
L’ingresso per la Missione di Terracina si stabilì il 20 novembre 1821. I cittadini furono tutti entusiasti al ricordo
della Missione del 1819 e nel rivedere il Missionario creatura del defunto pastore mons. Albertini. Al termine della Missione, il 3 dicembre, fu aperta la Casa di Missione e don Gaspare chiamò da Giano don Camillo Rossi e don Francesco Saverio Mariotti che vi si stabilirono assieme a don Giacomo Gabellini, nominato superiore. Il Ritiro di Terracina era a circa un miglio dalla città e questo non garantiva la sicurezza dei Missionari dalle scorrerie dei briganti. Giunse subito l’ordine della Segreteria di Stato di abbandonarlo. Fra molti disagi, i Missionari si accomodarono in diverse residenze. Il 17 gennaio 1822 i Missionari abbandonarono Terracina e si ritirarono a Roma trasportati dalla defezione del superiore don Giacomo Gabellini che mal sopportava la missione nelle terre paludose. Grande dolore colpì don Gaspare nel vedere distrutta l’opera appena iniziata con entusiasmo.
Prese subito fiducia e scrisse a don Turribio. Questi giunse presto da Roma, trattò col vescovo mons. Carlo Manassi e l’ospizio si riaprì in alcune camere dell’episcopio ridando a tutti non poca
gioia per poter continuare le opere di apostolato. Quindi fu mandato da don Gaspare a predicare il maggio in Vallecorsa e trattare della Casa di Missione che si aprì nello stesso mese tra un generale grande fervore, come scrive don Gaspare a mons. Cristaldi il 24 maggio 1822. Tornato a Terracina, don Turribio vi si trattenne un poco più di quanto la prudenza permettesse, a causa dell’aria infetta e pericolosa. Caduto malato, con grande dolore di don Gaspare, il 21 giugno, vedendo che non reggeva, decise di ritirarsi nella Casa di Sonnino, secondo le direttive date precedentemente da san Gaspare. Poco dopo fu colto da forte febbre e il 16 agosto piamente spirò. Fu seppellito nella chiesa di Sant’ Angelo

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