dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Don Vincenzo Tani

Da Giandomenico Piepoli
Piissimo e devoto missionario”, lo ricorda così la biografia di don Enrico Rizzoli, che fu Moderatore generale della Congregazione dal 1873 al 1884. Don Vincenzo Tani visse con san Gaspare solo per cinque anni e abbracciò entusiasta la spiritualità che lui amava divulgare. Entrato nel 1815 all’età di 45 anni, è tra i primi Missionari arrivati a San Felice il giorno del 15 agosto 1815. Vi restò con don Gaetano Bonanni e don Luigi Achille e condusse una vita di mortificazione e austerità. Si ricordano la sua grande umiltà e il sottomettersi al consiglio degli altri; nutrì una singolare devozione alla Vergine Madre. Si legge che in seguito si fosse allontanato e sarebbe rientrato verso la fine di ottobre recando “un foglio per la divozione della Madonna della Cintura”, che don Gaspare inviava da Roma a Giano al don Luigi Gonnelli (Epistolario I, lettera n. 129). A cinquant’anni don Vincenzo, colpito da una grave infermità polmonare e fra grandi dolori sopportati con serena letizia, la notte del 21 settembre 1820, morì a Ferentino (Frosinone) ove era ritornato per consiglio dei medici e dietro comando dei superiori. L’anno 1815, considerato anno di fondazione, in realtà vede la Congregazione non ancora ben costituita come tale. Eppure il 17 agosto 1815 don Gaspare scrive al canonico Gonnelli che “l’opera è grande e convien piangere di consolazione nel vederne sotto occhio le divine benedizioni” (ivi, lettera n. 120). Don Vincenzo Tani fa rivivere quei primi passi con la sua presenza fatta di silenzio e di esemplare pietà, senza alcun chiasso; tutto accade in una bellissima comunione di vite sacerdotali. Nacque a Ferentino nel 1770, dalla famiglia dei Marchesi Tani. Rinunziò alla primogenitura per abbracciare lo stato ecclesiastico, e più tardi ad una prelatura, offertagli da uno zio materno, per potersi dedicare al servizio delle anime in piena libertà e povertà. Esercitò il suo zelo prima nella città natale, poi a Roma, in più largo campo unendosi all’Unione dei Sacerdoti Secolari di Santa Galla e più tardi ai zelanti sacerdoti di don Gaetano Bonanni (1766-1843).
Questi fu un uomo di pietà, dalla personalità spartana, fattivo, concreto, programmatico in tutte le sue cose. Si ritrovò ben presto assieme ad altre anime sensibili ai bisogni della gente e che non si rassegnavano alla decadenza della vita cristiana. A partire dal 1800, a trentaquattro anni, don Gaetano incominciò a radunare nella propria casa, dalle parti di piazza Navona, i sacerdoti più zelanti per animarli e organizzarli in una “Santa Lega” sognando che riformato il clero è riformato il popolo. L’intento era di estendere l’iniziativa e di coinvolgere un maggior numero di sacerdoti nella preparazione alla predicazione. Tra i collaboratori di don Gaetano c’è il nostro signor marchese don Vincenzo Tani che con don Nicola Voggi predicò anche una missione nella diocesi di Acquapendente.
Sempre più provetto nel ministero delle sacre missioni, don Bonanni godeva di ottima fama in Roma e il Papa ammirava lo sviluppo della sua opera. L’esperienza fu incoraggiante e lo portò a concepire il disegno di un’opera duratura, una specie di associazione. Con sacerdoti d’ogni età nell’ottobre 1808 fondò un Oratorio notturno per venire incontro agli uomini radunandoli al termine delle fatiche del giorno per l’istruzione religiosa e le celebrazioni dei sacramenti.
Nel 1813, dopo l’idea della “Santa Lega”, passò a quella di un Istituto di sacerdoti che si chiamò “Opera degli Operarj Evangelici”. Per dare qualche ordine a questa opera pia si cercava una sede. Intervenne mons. Albertini, di cui presto parleremo, che concesse loro una succursale della basilica di San Nicola in Carcere, la chiesa denominata Santa Maria in Vincis in Piazza Montanara, ai piedi della Rupe Tarpea. Nella prima adunanza, che si tenne nella sera della festa del Corpus Domini, il 17 giugno 1813, riferisce don Giovanni Merlini che «il signor Abate Bonanni progettò il sistema delle missioni» e in congressi successivi del luglio 1815 «si legge che Bonanni ha dato in risposta che Tani andrà a Giano … Che superior generale e locale per Giano è Bonanni, Tani prefetto di Chiesa, del Bufalo procuratore generale di Giano…» (Deposizione, p. 204).
Don Francesco Albertini partecipò a qualche riunione per osservare e propose di intraprendere a collaborare. Don Gaetano non accettò e più avanti non avrebbe mai pensato di legare un gruppo di sacerdoti secolari a una devozione e al titolo del Preziosissimo Sangue. Stese inoltre un metodo per le missioni e introdusse una regola che delineava la natura e lo stato della piccola associazione.
Le Regole per gli Operarj Evangelici e il loro Regolamento per il tempo delle SS. Missioni costituiscono il seme da cui si svilupperà gradatamente la Regola della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue. Due anni dopo, il 15 agosto 1815, a San Felice di Giano la “Congregazione di Operarj Evangelici” o “Pio Istituto dei Sacerdoti Missionari” otteneva la prima Casa e il Superiore era don Gaetano Bonanni. La vicenda di don Bonanni era strettamente legata a quella di don Francesco Albertini (1770-1819). All’età di sedici anni è già tra i partecipanti di Santa Galla. Lo seguirà il figlio prediletto don Gaspare del Bufalo, anch’egli da giovane legato agli Operai Evangelici e all’Opera di Santa Galla. Questa includeva l’Ospizio, dove del Bufalo prese la vice direzione nel 1814 e l’Unione dei Sacerdoti Secolari, di cui lo stesso fu segretario. Lo Spirito del Signore ne fece una scuola meravigliosa di santità per tanti sacerdoti.
Nel 1800 don Albertini, all’età di trent’anni, operava con zelo: era canonico della basilica di San Nicola in Carcere, animata da una viva devozione eucaristica e anche dalla presenza di diverse confraternite; arricchì l’area di Piazza Montanara con i cenacoli sacerdotali, promuovendo l’“Accademia per le Conferenze Teologiche”. I segni dei tempi lo interpellavano. Attendevano santi pastori, con una formazione soda, distaccati dal vizio e dalla carriera, pronti a buttarsi a risanare il corpo di Cristo. E la risposta di don Francesco germogliò nella contemplazione dell’amore del Sangue versato da Gesù; egli voleva fosse non versato invano e venisse accolto nella sua preziosità. Vi vedeva il sangue dei martiri dell’antica Roma e il sangue da offrire per la Chiesa del tempo da ricostruire. L’ascesi di don Francesco fu un’ardua disciplina alla ricerca continua di annullamento e di una vita nascosta tutta in Dio. Dal suo nascondimento non nacque una devozione: il Sangue di Gesù è tutto, spiritualità che dice tutta la verità, luce che risplende sempre. La devozione profetica viene proclamata e si irradia dalla cappella del Crocifisso, nella piccola basilica romana, e camminerà con destinazione senza limiti. È lì custodita anche la reliquia del sangue della Passione, a sostegno della “Pia Adunanza” voluta da don Francesco Albertini. Tutto il giovane Gaspare custodirà con amore filiale grandissimo, come un tesoro per cui spendere la vita, in ascolto continuo delle direttive del “comun padre”, “amatissimo fondatore” cui “obbediva come se vivesse”. La “Pia Adunanza” avviata a Piazza Montanara era una chiamata dei laici e costituiva un’assemblea di uomini e donne; con regolamenti ben stabiliti e con le necessarie licenze divenne sodalizio. “I tre canonici deputati a governare l’istituzione furono monsignor Francesco Pitorri, cappellano segreto di Pio VII, don Gregorio Muccioli e, naturalmente, l’Albertini, che era il vero artefice di tutto”. La cerimonia di fondazione fu fissata al giorno significativo dell’8 dicembre 1808. Vi partecipò “innumerabile quantità di persone”. Don Francesco “dedicò particolare attenzione alla scelta del predicatore. E chi chiamò?
Don Gaspare del Bufalo, l’uomo che gli sarebbe piaciuto avere dentro la Pia Adunanza!” (M. Colagiovanni, Il padre segreto, p. 105). Le due vie, quella di don Gaetano Bonanni e quella di don Francesco Albertini, volevano portare anime a Dio, con santi operai nell’unica vigna del Signore. Le due vie potevano integrarsi in un’unica idea, come sognava don Francesco, “attratto dal gruppo di sacerdoti che stava dietro l’Oratorio di don Bonanni. Se avesse potuto disporre di quel manipolo per la devozione al Sangue di Cristo!”. Questo non avvenne. Gli eventi che seguirono furono tutti in salita e impregnati di fede, umiltà e consapevolezza di dover donare agli altri il dono ricevuto. Tale fu l’intento di don Albertini e di don Gaspare. Dal tempo dell’esilio legati in profonda comunione di spirito, sono sulla “via nuova e vivente” (Eb 10,20) aperta grazie al sangue di Gesù. È la limpida via specifica per l’esistenza di ogni cristiano, ancora di più per noi sacerdoti missionari. Con l’autore del Siracide diciamo che essa è al di sopra di tutte le opere di Dio, meravigliosa è la sua potenza, non finiremo mai di magnificarla (cfr. 43,29-31).
Infine, una nota di cronaca sul nostro don Vincenzo Tani la riporta don Giuseppe Quattrino nel periodico Il Sangue Prezioso, Roma, gennaio-febbraio 1947, pp. 13-14: «La venerata salma fu deposta nella Chiesa di S. Agata dei PP. Minori Francescani. Il bombardamento aereo del 24 maggio 1944 colpì gravemente il tempio e sconvolse il suo sepolcro.
Il 25 novembre 1946 don Arturo Gerace, Superiore della Casa di Patrica, per mandato dei Superiori e col permesso dell’Ordinario, ha curato l’esumazione di cui si riporta il verbale. […] A quanto porta il verbale aggiungiamo che è stata trovata tra i detriti una porzione di fascia di bavella che fa parte dell’abito della Congregazione. È nostro desiderio che i resti del grande e santo Missionario siano trasferiti nella Casa di Albano e collocati nella Cappella del Beato Fondatore».

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