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Enzo Fortunato

di Pierino Montini
Fino a pochi mesi fa credevamo che la morte e la vita fossero così distanti tra loro, tanto da comportarci come se l’una fosse separata e distante dall’altra. Ora, al contrario, potremmo essere portati a ritenere che esse sono mescolate tra loro, in un atteggiamento di rivincita vicendevole, fino ad arrivare a credere che la vita sia il rivestimento della morte.
La lettura di La TUNICA e la TONACA. Due vite straordinarie, due messaggi indelebili, Mondadori, Milano 2020, del francescano padre Enzo Fortunato ci fa riflettere su ciò. L’autore, noto volto televisivo e direttore della rivista San Francesco d’Assisi, dopo una serie di testi dedicati a san Francesco, editi dalle Edizioni san Paolo (Francesco e il sultano; La carta di Assisi; Il Natale di Francesco. Sette meditazioni con le antifone maggiori), con questo volume riallaccia il rapporto editoriale con Mondadori, inaugurato con Vado da Francesco (2014) e prolungato con Francesco il ribelle (2018).
Il contenuto può essere riassunto in tre nuclei: Cristo e la tunica; Francesco e la tonaca; messaggi diretti al nostro vivere in Cristo sull’esempio del Santo.
L’antefatto della trattazione? Una casualità, un “per caso”. La conclusione? Una causalità, un “perché”. Dalla occasionalità alla relazionalità in direzione di una finalità partecipativa. Si è condotti sulla soglia di una chiamata personale che è: «Tu, anche tu, va’ e ripara». E solo in questo modo: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha” (Lc 3,11). E: «A uno che vuol trascinarti in giudizio per prendersi la tunica, dagli anche il mantello» (Mt 5,40).
Nasce così l’interrogativo: indossare o meno una tunica nuova, che è quella del Crocifisso-Risorto, oppure rattoppare quella che vestiamo abitualmente? In tale dilemma, Cristo testimonia di essere donatore di una trasformazione-novità.
Non di quella abitudinaria, fatta di cambi d’abito, dettati dalle circostanze. Tutto di Lui esprime che Egli è un “Paradosso”. Il Suo essere, il Suo dire e agire non rappresentano un’opposizione ma un capovolgimento del precedente modo di vivere la spiritualità in riferimento al Padre. È il fulcro vivo di quella convergenza che capovolge la storia della salvezza: essa non è più vivere nel “timoroso stupore” nei confronti della Divinità ma nell’“attesa-propositiva”. Non più “timore di…”, ma “credere o non credere in…”. È apertura per cogliere l’invito a scegliere se si vuole essere vestiti solo di se stessi o offrirsi all’Alterità. La tunica di Gesù è di ogni misura. È senza cuciture. Nel modo in cui la totalità dell’amore di Dio ha scelto di donarsi tutto all’umanità. Da capo a fondo. E non può e non vuole né rattoppare né essere rattoppato. La Sua tunica è segno della Sua “trascendenza” (71), simbolo del Suo amore (83). Amore imprescindibile dalla Sua unicità e dall’unità col Padre.
Egli solo è “il paradosso” vivente del Padre. In Lui possiamo essere così vicini a Dio, tanto da sperimentare non il timore, ma la Sua paternità. A Francesco è indirizzato il: «Va’ e ripara» (83) non nel senso di: «ricuci, rattoppa!». Non con la modalità di: «conservati pure così, come sei, tanto da sembrare un altro da come sei!». Francesco si sveste dell’abito che ha e di ciò che di lui appare, per vestire un abito perché cucito da cima al fondo solo dall’Alterità: Dio, Chiara, la comunità. Anche se all’apparenza sembra un saio risicato. Privo di una parte donata a coloro che elemosinano. Rosicchiato da qualche topo, fratello nella creazione. Per lui l’amore non ha misure, bugiardini. Non ammette consegne di Pierino Montini a domicilio. Al contrario: offrire la sua tonaca è offrire tutto se stesso.
Un percorso a parte meriterebbero gli accenni che padre Fortunato riserva a Maria, madre di Gesù, e a Chiara, sorella nella fede di Francesco. Nel silenzio delle loro rispettive vicinanze spirituali a Gesù e a Francesco, entrambe configurano il contributo specifico che apportano alla missione di Gesù e di Francesco. Maria: corredentrice. Chiara: collaboratrice al carisma francescano. È meraviglioso meditare su una madre che fila da capo a fondo la tunica che il Figlio indosserà nelle ore tragiche della Sua vita. È singolare riflettere su Chiara, che rattoppa la tonaca di Francesco, sfilando del filo dal proprio vestito, per risistemare il saio di lui. Entrambe contribuiscono a sanare il paradosso introdotto dai nostri progenitori i quali, prima di essere scacciati dal Paradiso terrestre, «cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture» (Gen 3,7); ma per i quali, poi, Dio confezionò «tuniche di pelli» (Gen 3,21).
Vestire la tunica con il carisma di Francesco testimonia la voglia di rinunciare ad ogni cintura che, come scrive Piero Bargellini riguardo a Francesco, era sinonimo di appartenenza ad un ceto sociale specifico. Maria è la Corredentrice, partecipatrice nel mistero salvifico. Nel modo in cui la tunica è unica ed intera.
Chiara è la Partecipatrice, inseparabile dal carisma vissuto e testimoniato da Francesco. Nel modo in cui la tonaca di Francesco ha intessuto in sé, come parte di sé, fili, pezze dell’abito di Chiara. In fondo, non si tratta che di anime. E, assolutamente, di nessun tirare a sorte: i miei crocifissori «… per il mio vestito hanno tirato a sorte» (Gv 19,24), ma io, proprio io e non altri, scelgo per Mio vestito te…
E tu, cosa ne pensi? Riuscirai a crederci?
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