Primavera Missionaria News. Dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo

Felice e grande quando ti unisci a Dio

di Luigi Maria Epicoco

Pubblichiamo la maggior parte della relazione di don Luigi Maria Epicoco tenuta alla VI Koinè del Preziosissimo Sangue, redatta e rivista dalla nostra Redazione. Si può vedere e ascoltare l’intervento integrale sul canale youtube della Unione Sanguis Christi
 

Il tema di quest’anno nasce da un’intuizione, da una frase di san Gaspare: «Felice e grande quando ti unisci a Dio». Abbiamo bisogno di capire qualcosa di vero che possa cambiare la nostra vita, o in qualche maniera orientarla, darle una direzione, ma prima di entrare dentro questo tipo
di riflessione vorrei usare tre piccole parabole.
Non le prenderò dal Vangelo, ma vorrei che per un istante ciascuno di voi facesse questo sforzo di immaginazione. Userò delle immagini molto semplici, ma capirete perché sto usando queste immagini e dove voglio andare a parare.
Immaginiamo che c’è un bambino piccolo, che va alle scuole elementari e la mattina si sveglia, ma il suo zaino è pieno di libri molto pesanti, quindi è faticoso da portare. Lui è felice di andare a scuola, ma il peso da portare può diventare insopportabile per lui. Se lo carica sulle spalle, ma si accorge che fa fatica a camminare, gli fa male la schiena, è in difficoltà, ma questo bambino ha qualcosa di particolare: non ha la forza per portare quello zaino sulle spalle, ma ha un fratello più grande, che quando si accorge che il fratello più piccolo è in difficoltà, gli prende lo zaino e lo aiuta. Da quel momento in poi andare a scuola diventa qualcosa di più leggero, di più possibile, perché il fratello più grande si è fatto carico di quel peso. Ecco, questa è la scena. Fa nascere dentro di noi molta tenerezza: noi ci accorgiamo che questo fratello più grande ha cura del fratello più piccolo, perché decide di portare lui sulle sue spalle lo zaino del fratello più piccolo. Prima scena.
Seconda scena: questo bambino si mette a giocare là fuori con i suoi amici, gioca a pallone, come molto spesso è capitato a noi, ma poi a un certo punto arriva un bullo che ruba il pallone a questi bambini e gli rovina il gioco. Loro non sanno più come poter giocare e loro non hanno la forza di mettersi contro questo bullo: è troppo forte, è troppo violento. Chi salverà il gioco di questo bambino? Chi difenderà questo bambino? Ecco che torna di nuovo in gioco il fratello più grande ed è lui che affronta il bullo: gli toglie il pallone, lo mette in riga e fa tornare a giocare questi bambini. La forza di questo bambino non è in lui, non ha le capacità di poter affrontare quella violenza, di mettersi contro quel bullo, ma il fratello più grande fa questo per lui. Seconda scena.
Terza immagine: questo bambino si mette a fare i compiti, ad esempio gli esercizi di matematica, o un testo di storia e geografia, ma succede che non sta capendo come risolvere quel problema, o che cosa dice quel libro di geografia o di storia. È come se la logica di quella matematica o di quel libro di storia o geografia è più grande delle capacità di quel bambino che, davanti alla sensazione di
non capire, si sente frustrato, piange. Torna di nuovo in gioco il fratello più grande… e che cosa fa? Prende la sua sedia, si mette accanto a questo bambino e gli dice: “Adesso ti spiego io” e gli spiega come dover risolvere quel problema, gli spiega quel paragrafo di storia, di geografia. Quel fratello più grande va in soccorso al fratello più piccolo, che non riesce a capire alcune cose, che però tocca a lui affrontare, tocca a lui risolvere.
Allora queste tre storie molto semplici e molto quotidiane hanno messo in scena davanti a noi tre cose di cui è fatta la nostra vita: pesi che a volte noi non riusciamo a portare, mali da cui non abbiamo la forza di difenderci, problemi che si presentano a noi con una logica, con un significato che è più grande della nostra capacità di capire. Immaginate quando una persona vive un dolore e non capisce il senso di quel dolore, vive una prova e non capisce il senso di quella prova. La debolezza, il bisogno di essere difesi, il bisogno di capire sono tre caratteristiche della vita umana, dove molto spesso la vita umana si ferma, si arena. Che cos’è che salva la vita di questo bambino? Poter avere un fratello più grande, che va in soccorso a lui in ciascuna di queste circostanze.
Ora veniamo fuori da questa immagine, cioè togliamo via il velo di questo paragone e cerchiamo di calarlo essenzialmente nella nostra vita cristiana. Il giorno del nostro battesimo il regalo più grande che c’è stato fatto è che, dal battesimo in poi, ognuno di noi ha un fratello più grande, che si chiama Gesù. Nel battesimo noi siamo diventati “figli nel figlio” − dice san Paolo (cfr. Gal 4,6) − e cioè la nostra solitudine è stata vinta in maniera radicale da questo fratello più grande. Questo fratello più grande è la compagnia che attraversa tutta la nostra vita, tutta la nostra esperienza, dall’inizio alla fine, anche attraverso la morte. Soprattutto, la presenza di questo fratello più grande, che abbiamo ricevuto il giorno del nostro battesimo, si palesa dentro la nostra vita attraverso l’Eucarestia. Che cos’è l’Eucarestia? È la presenza reale di Cristo. Chi è Cristo? Il nostro fratello più grande.
Tutte le volte che l’Eucarestia entra dentro la nostra vita, questo fratello più grande entra in azione dentro la nostra esistenza.
E che cosa succede? I pesi della vita non li portiamo più da soli: la forza di questo fratello più grande si carica sulle spalle il peso della tua vita. Il male che stai vivendo non devi più affrontarlo tu: è Lui che affronta il male, è Lui che combatte le tue battaglie, è Lui che vince le tue guerre.
Tutto quello che noi non capiamo è Lui a spiegarcelo: è Lui a farci entrare in una Sapienza più profonda, a farci comprendere in maniera più profonda la nostra vita. È la sapienza della Croce, attraverso cui noi possiamo rileggere in maniera significativa la nostra vita, possiamo affrontarla perché la capiamo in maniera molto più profonda. Qual è l’affare di questo fratello più piccolo? È suo fratello più grande. L’Eucarestia in realtà non accresce le nostre facoltà esterne, ma tutte le volte che noi ci accostiamo all’Eucarestia, tutto ciò che è di Cristo diventa nostro. E sapete cosa significa tutto questo? Significa che da quel momento in poi noi possiamo permetterci di essere deboli, possiamo permetterci di non rispondere al male con il male, possiamo permetterci di non capire tutto.
Quando tu sei da solo, invece, per sopravvivere devi trovare un modo di avere la forza, devi trovare un modo di farti giustizia da solo e devi trovare il modo di capire le cose che non capisci. La nostra disperazione, molto spesso, è data nella solitudine con cui noi cerchiamo di affrontare la nostra debolezza, di affrontare il male che ci capita dentro la nostra vita e di cercare di capire le cose incomprensibili che la vita ci mette davanti. Ad esempio il mondo ti dice: «Non riesci a portare da solo lo zaino? Allora devi farti i muscoli».
«Non riesci a difenderti dal bullo? Allora devi fare arti marziali, così la prossima volta che arriva il bullo lo picchi tu». «Non capisci le cose che ti capitano nella vita?
Allora tutto quello che non comprendi lo devi escludere, esiste solo ciò che capisci e tutte le altre cose le devi allontanare dalla tua vita». In pratica il mondo ci dice che per poter vivere, dobbiamo smettere di essere noi stessi, non dobbiamo accettare la nostra umanità. Invece l’Eucarestia ci aiuta a riconciliarci con la nostra debolezza. Siccome c’è Gesù dentro la tua vita, tu ti puoi permettere anche di essere debole, cioè non leggi più la tua debolezza come una maledizione, ma la accogli come un grande alfabeto attraverso il quale Dio compie la sua opera. Dirà san Paolo:
«Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10); «Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti» (1Cor 1,27). Il dono più grande che ci fa l’Eucarestia non è tanto risolverci il problema, ma darci la forza di accettare ed affrontare quel problema. Una donna malata terminale di cancro ha due figli e uno è un portatore di handicap che tutte le mattine, finita la messa, gli porta l’Eucaristia a casa. Nella totale debolezza di questa donna ecco che il figlio debole, portatore di handicap, gli porta ogni giorno la sua forza, che è questo pezzo di pane dentro il quale è nascosta la forza di questo fratello più grande. Chi è Gesù? È l’Emmanuele, il Dio-con-noi e, se dovessimo donare un nuovo titolo a Dio, non dovremmo più dire soltanto che Dio è l’Altissimo, perché, attraverso Gesù, Dio è diventato il Vicinissimo. Allora capite che siamo diventati grandi e felici, ma questa grandezza e questa felicità non sono a scapito della nostra debolezza: è attraverso la nostra debolezza, è proprio perché noi siamo deboli, che Gesù si accosta a ciascuno di noi.
La grande eresia che attraversava anche i contemporanei di Gesù era che Dio può avvicinarsi a te quando tu smetti di essere peccatore, di essere malato. Invece per dirlo con le parole del Vangelo: è proprio perché siamo peccatori, è proprio perché siamo malati, che Gesù viene da noi.
Poi c’è un secondo grande frutto che ci dà il Signore nell’Eucarestia. Infatti succede che noi viviamo spesso il male: le persone ci fanno del male, possiamo essere vittime di ingiustizia. Cosa ci insegna Gesù nel Vangelo? Di amare i nemici. Di pregare per coloro che ti fanno soffrire. Ma non è possibile umanamente fare questo, perché tu il nemico lo vuoi sconfiggere, a chi ti fa soffrire vuoi dare una lezione, alle persone che ti hanno messo nell’ingiustizia gliela vuoi far pagare. Che cos’è che mi disarma?
Che cos’è che mi mette nella condizione in cui io posso arrivare fino al punto di poter amare i miei nemici, di poter pregare per loro, di poter perdonare? Se io ho un fratello più grande ed è Lui che mi difende, ed è Lui che fa giustizia, ed è nelle sue mani la mia vita, io mi posso permettere anche di amare i nemici, perché non devo affrontarli io, li deve affrontare Lui. Capite che cosa fa l’Eucarestia? Ci disarma, toglie da ciascuno di noi l’atteggiamento difensivo, siamo messi nella condizione di non odiare più nessuno, di non portare più rancore, di poter perdonare gli altri. Dice san Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). L’Eucarestia rende possibile nella nostra vita il perdono e la misericordia. Spesso il nostro perdono è finto, invece dice Gesù nel Vangelo: «Se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35). Questo è il miracolo più bello che ci porta l’Eucarestia: uniti a Lui sperimentiamo la grandezza del perdono.
Dunque, la prima cosa che ci dona l’Eucarestia è la riconciliazione con la nostra debolezza, la seconda cosa è la capacità di amare i nostri nemici e quindi il perdono e la misericordia, infine ecco che, uniti a Lui, siamo introdotti in un modo nuovo di guardare le cose, in una conoscenza completamente diversa, una nuova mentalità che la teologia chiama con la parola conversione. L’Eucarestia è efficace quando cambia il tuo modo di ragionare, quando tu non usi più la mentalità del mondo, ma vivi e guardi le cose così come le vive e le guarda Gesù.
Questi tre atteggiamenti nuovi li ritroviamo infatti nella celebrazione eucaristica. La messa inizia dicendo: “Vuoi celebrare questa unione con il Signore?”. Se sì, si parte con l’atto penitenziale, cioè dalla nostra miseria e debolezza.
Questo è il punto di partenza di ogni unione con il Signore. Come a dire chiaramente che non ce la faccio a portare il peso della cartella, ho bisogno di aiuto.
Poi ecco che dopo la richiesta di perdono, la messa ci mette nella condizione di poter accettare la nostra conversione. È la liturgia della Parola. A che cosa servono quelle letture e la lettura del Vangelo? Soprattutto a convertirci, a darci un’altra chiave di lettura sulla realtà e su noi stessi. È come il fratello più grande che mi spiega i problemi e i compiti.
Ancora poi nella messa, c’è l’offertorio in cui consegniamo la nostra vita al Signore, le gioie, le difficoltà, tutto ciò che vivo. A questo poi si aggiunge il quarto passaggio per cui non basta imparare a offrire, ma bisogna anche imparare ad accettare un dono. Ci vuole molta umiltà per accettare un dono, perché se tu accetti un dono devi ammettere che ne hai bisogno. È il momento della comunione. Così alla fine diventiamo ciò che
mangiamo, diventiamo Gesù. Quando stai con tuo fratello più grande, tu e tuo fratello siete un’unica cosa: siamo “una squadra fortissimi”, l’unità tra di noi ci ha fatto una squadra: così come il Padre e il Figlio sono un’unica cosa, nell’Eucarestia noi e il Figlio siamo un’unica cosa.
Quello che succede nella Trinità succede tra noi e Gesù: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi… una sola cosa come noi siamo una sola cosa» (cfr. Gv 17,21-22). Allora questo è il mio augurio: che proprio attraverso questa intuizione di san Gaspare ciascuno di noi possa riscoprire la potenza di questa unione con Dio che sa trasfigurare la nostra piccolezza, sa inserire la categoria della grandezza nell’essere piccoli, consegnati, abbandonati nelle mani di Dio, perché la nostra forza è il Signore.

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