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Finalmente nella propria casa

Di Pietro Battista
Il 17 marzo 1821, con l’atto compilato dal Cancelliere Giuseppe Marucchi, nella Curia Vescovile di Albano, per volontà del Papa Pio VII, i Missionari del Preziosissimo Sangue divennero i proprietari del Monastero e della chiesa di San Paolo. Come stabilito con il Vicario Generale, il 24 marzo, proveniente da Roma, giunse in Albano, don Giovanni Merlini insieme a quattro confratelli per prendere il possesso ufficiale. Il portone lo trovarono spalancato, ma il Monastero era completamente occupato da abusivi. Non avendo trovato disponibilità di alloggio presso le tre comunità religiose presenti in Albano, per volontà del Vicario Generale si sistemarono provvisoriamente in alcune stanze nell’attiguo Palazzo Abaziale.
La provvisorietà durò quasi due anni.
Infatti, solamente alla fine del 1822 i Padri potettero entrare nella loro casa.
L’evento lo descrive lo stesso don Giovanni Merlini, in modo telegrafico, nella Istoria: «Finalmente, restaurato il Monastero, reso libero il recinto, ritolti dall’Abazia gli appigionamenti che erano nelle camerette della Torre bianca, evacuato il tinello, riconsegnatasi la chiave, si andò ad abitare nel Monastero, cucinandosi per alcuni mesi nel caminetto superiore, presso il coretto, perché la cucina e il refettorio non erano ancora in ordine».
Entrati nella propria casa, don Giovanni Merlini, in qualità di superiore della Comunità, si sentì autorizzato a chiudere il portone d’ingresso. Questo atto suscitò una forte reazione negli assidui frequentatori della chiesa di San Paolo. Questi, infatti, si sentirono usurpati di un diritto acquisito durante gli anni in cui il portone restava aperto notte e giorno. Essi avevano preso l’abitudine di accedere alla chiesa attraversando il chiostro ed entrando per la porta attigua alla sacrestia. Don Giovanni cercò di far capire che non c’era alcuna cattiveria nella decisione. La Comunità aveva necessità di proteggere la propria abitazione, e osservare le leggi della clausura, secondo le disposizioni della bolla di Alessandro VI, con le parole possint quiete vacare. I cittadini di Albano si convinsero abbastanza presto. Non fu facile, invece, convincere le famiglie romane che venivano ospitate nel Palazzo Abaziale, da giugno a ottobre, per la villeggiatura.
Queste famiglie, per entrare in chiesa, usavano addirittura una porta che dal Palazzo Abaziale immetteva direttamente nel chiostro. Don Giovanni, all’inizio, fece notare con buone maniere l’inopportunità di usare quel passaggio. Poi cominciò ad esigerlo con determinazione. Ma le gentili signore restavano ferme nella decisione di raggiungere la chiesa senza usare la scalinata esterna. Cominciò un lungo tira e molla. Don Giovanni chiudeva la porta di accesso al chiostro e le signore la facevano forzare. Il problema fu risolto in un modo singolare quando ricevette in Commenda l’Abazia, Don Riario Sforza. Egli fece aprire una porta e costruire una scala comoda in peperino a qualche metro di distanza dal portone del Monastero. In questo modo le distinte signore potettero accedere alla chiesa evitando l’ampia scalinata esterna.
Questa soluzione fu realizzata nel 1836.
Ancora oggi la scala sul sagrato continua a testimoniare il braccio di ferro tra il diritto dei Missionari e il capriccio delle nobili signore romane.
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