dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Francesco Saverio va sempre più a Oriente

Di Giacomo Manzo
passa dall’India alla Malesia e all’Indonesia
L’amore di Cristo ci spinge, ci possiede e ci consola
in ogni “tempesta”
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta di San Francesco Saverio, il più grande missionario della storia. Il suo percorso di vita prosegue dopo i suoi primi due anni e mezzo in India, con cinque mesi soltanto a Goa e il resto nella costa del sud-est. Infatti, mentre si trovava nella città di Santo Thomé, venne a sapere che nelle Isole delle Molucche (oggi facenti parte dell’Indonesia) non c’era una presenza di sacerdoti tale da rispondere all’esigenza di tante possibili conversioni al cristianesimo. Insomma se era approdato in India il 6 maggio 1542, dopo ben 13 mesi di viaggio, ecco che ora già il 1° gennaio 1545 si rimette in viaggio.
La sua prima tappa è la penisola di Malacca, oggi facente parte della Malesia, che sempre i portoghesi avevano conquistato così come l’India, facendone una loro fortezza, essendo la più importante via di transito delle spezie dall’oriente all’occidente. Francesco diventa sempre più l’apostolo dell’Oriente e la spinta del Vangelo lo conduce verso le più lontane “periferie” del mondo. Ma non si ferma di fronte a nulla per il desiderio e la passione di far conoscere Gesù Cristo, la sua storia e l’amore divino e incondizionato che tutti gli uomini e le donne del pianeta hanno diritto di conoscere. “Charitas Christi urget nos” direbbe San Paolo (2Cor 5,14): l’amore di Cristo ci possiede e ci spinge dovunque e – dice sempre San Paolo – “guai a me se non annuncio il Vangelo” (1Cor 9,16). San Francesco Saverio sembra davvero ricalcare le orme di San Paolo e laddove quest’ultimo segnò i confini del mondo conosciuto di allora, dalla Palestina all’Asia minore a Roma, il nostro santo patrono passerà dalla Spagna e dal Portogallo fino al Giappone con una estensione di apostolato mai vista fino ad oggi. Nel viaggio verso Malacca passò ovviamente tutti i pericoli delle tempeste terribili e dei pirati, ma la sua fiducia in Dio preparata e sostenuta dai suoi Esercizi spirituali, lo rendeva pronto a tutto ed inarrestabile. A Malacca poi faceva il cosiddetto caldo equatoriale e per giunta la corruzione anche dei portoghesi era fortissima perché gli ufficiali ed i mercanti si erano fatti tutti dei veri e propri harem con le donne malesi e così la fede passava e si trasmetteva nel peggiore dei modi. Il Saverio affronta il problema da vero sacerdote cristiano ed anche gesuita e comincia un’intensa attività di predicazione e insegnamento, a cominciare dai bambini fino alle altre categorie sociali, ed inoltre si spendeva con tutto se stesso nella visita ai malati, ai poveri e nelle confessioni. Ma come poteva fare tutto questo se non conosceva neanche la lingua? Ebbene a lui bastava far tradurre le preghiere principali e una sintesi della dottrina cristiana e su questa base lavorava nel suo apostolato. Se qualcuno può pensare che il nostro Francesco ora abbia trovato pace si sbaglia. La sua ansia missionaria è tale che un anno dopo, il 15 febbraio 1546, raggiunge l’isola di Amboina passando per Sumatra, Giava e Celebes. Anche in quest’isola confessa, battezza e predica e dopo tre mesi si dirige verso le isole del Moro, dove pure c’era una comunità di cristiani senza sacerdoti ed infine approda all’isola di Ternate, piccolissima e con un vulcano in piena attività. Ma leggiamo come lui stesso descrive questo periodo in queste isole in cui insieme ai pericoli non mancano tante consolazioni spirituali e umane: “Io non mi rammento di aver conosciuto delle consolazioni spirituali così grandi e così continue, come in queste isole; mai ho risentito così poco le sofferenze corporali; e tuttavia andavo continuamente attraverso le isole di nemici, popolate di amici poco fidati, su una terra senza rimedi contro le infermità corporali […]. Queste isole, sarebbe più appropriato chiamarle isole della speranza in Dio che isole del Moro” (Doc 59.4).
Queste sono le esperienze tipiche di un missionario: essere capaci di vedere dovunque il desiderio e la speranza in Dio e così vedere quanto grandi sono le consolazioni di Dio anche di fronte ai peggiori pericoli. Dopo tre mesi a Ternate, tornò ad Amboina e quindi a Malacca. La stanchezza era tanta anche per la mancanza di cibo e sonno e per di più doveva ritornare in India per assegnare come Provinciale i posti di lavoro a otto nuovi gesuiti appena arrivati e rifare la visita alle comunità cristiane della Pescheria oltre che informare dell’apostolato svolto a Malacca e nelle Molucche.
Tornando in India si trova ad affrontare la peggiore tempesta della sua vita e queste sono le sue parole con cui ne racconta l’esperienza: “Io stando al culmine della burrasca, mi raccomandai a Dio […] mi trovai tanto consolato in questa tempesta e forse ancor più di quanto lo fui dopo essermene liberato. […] così, durante questa burrasca pregavo Dio nostro Signore che se me ne avesse liberato, fosse solo per incontrarne altre, ugualmente grandi o maggiori, che fossero per il Suo maggior servizio”. Per un cristiano e un missionario ogni tempesta diventa in modo misterioso occasione per conoscere ancor di più la consolazione del Signore e per proseguire la missione di annuncio del Suo grande amore a tutti. Trecento anni dopo San Gaspare, in altri tempi e contesti, ha vissuto le “tempeste” della sua vita allo stesso modo!

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