Fratelli tutti perché siamo tutti consanguinei

UNA PRESENTAZIONE
DELL’ENCICLICA DEL PAPA
A PARTIRE DAL CAPITOLO 8
Geniale Papa Francesco:
parlando di «fratelli»
ci aiuta a fare il passo decisivo nella
fede in Dio Padre
Di Giacomo Manzo
Nel capitolo 8 di questa ultima enciclica di Papa Francesco troviamo una citazione del suo predecessore Papa Benedetto XVI, attraverso la quale il Papa mette nero su bianco il cosiddetto «fondamento ultimo», cioè il perno di tutta la sua enciclica. La citazione è questa: «La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità». Al contrario delle critiche che sono state rivolte a quest’enciclica, per cui il discorso su Dio sarebbe stato messo in secondo piano, invece in realtà esso è presente sin dall’inizio ed è sempre sullo sfondo. Furbo Papa Francesco: se passa in noi l’assunto che siamo fratelli, inevitabilmente sta passando anche quello che abbiamo un Padre nei cieli. La vera novità del cristianesimo sta nel fatto che Gesù Cristo ci ha fatto conoscere Dio come Padre. Questo è il vero volto di Dio, così come c’insegna anche la preghiera del Padre nostro. Anche il testo del Credo che preghiamo ogni domenica a messa inizia con: «Credo in un solo Dio Padre, Onnipotente e Creatore del cielo e della terra». È da sottolineare che in tutti i testi originali la virgola si situa dopo la parola «Padre» e non dopo la parola «Dio». Da qui nasce il nostro essere tutti fratelli e la fratellanza è molto più dell’uguaglianza. L’uguaglianza implica il rispetto e la tolleranza, la fratellanza spinge all’amore reciproco. È molto di più. Nella fratellanza ci scopriamo figli di un Padre che ci ama e questo fonda in modo «sacro ed inviolabile» la nostra dignità. Questa fratellanza − e questa figliolanza − ricorda Papa Francesco sono il frutto di un’esperienza di fede e di una sapienza che in moltissime religioni e dottrine è come «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Infatti, per noi cristiani quest’esperienza è la «musica del Vangelo». Bellissime, poetiche ed efficaci sono le parole del Papa a tal proposito: «Se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna». Non so se vi rendete conto, ma queste parole contengono una verità per noi cristiani imprescindibile.
Per noi appassionati della Spiritualità del Sangue di Cristo tutta questa musica suona familiare. La chiamata del Vangelo è proprio quella di unirci a Cristo e così «il suo sangue diventa il nostro sangue» (Benedetto XVI, 12 febbraio 2010). Questa verità della consanguineità il Vangelo
la coglie nella sua pienezza, ma se perdiamo questo legame con Cristo, non riusciamo più a viverla. Ecco allora tutte le conseguenze di un mondo senza fraternità in cui i cristiani non fanno più risplendere questa chiamata all’amore verso tutti, soprattutto i lontani. L’opposto di un mondo di fratelli è «un mondo chiuso» che – dice il Papa – mostra le sue «ombre» cioè le sue parti oscure. Nel capitolo primo cita il frantumarsi del sogno
di un’Europa unita (sogno che fu portato avanti da personalità cristiane come l’italiano Alcide De Gasperi, il francese Robert Schuman e il tedesco Konrad Adenauer) e il ritorno di molti nazionalismi aggressivi. Poi c’è «la cultura dello scarto» di persone che non sono trattate come
tali, come i poveri, i disabili, i nascituri o gli anziani malati ed anche le persone migranti. Il Papa ribadisce la visione cristiana del «diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra», ma anche della necessaria accoglienza e dell’integrazione degli stessi migranti condannando quelle decisioni e quei trattamenti che li considerano «di minor valore, meno importanti, meno umani». Il Papa sottolinea anche il grave pericolo «della virtualità». Lui la chiama «l’illusione delle comunicazioni» che ostacolano «lo sviluppo di relazioni
personali autentiche». Ecco le sue parole verso gli strumenti social: «C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. […]. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità.». L’altro cuore dell’enciclica è nel capitolo secondo il commento alla parabola di Gesù del Buon Samaritano come chiave di lettura del nostro mondo e del nostro tempo. Non possiamo passare oltre di fronte alle persone che sono lasciate ai margini. Abbiamo bisogno di Dio per amare il prossimo e abbiamo bisogno del prossimo per amare Dio. Solo così possiamo «pensare e generare un mondo aperto» e non più chiuso che il Papa tratteggia poi nel suo terzo capitolo che fa da contraltare alle ombre del mondo chiuso. Il vero «virus più difficile da sconfiggere» è «l’individualismo radicale». Da qui l’importanza del «fecondo insterscambio» tra i popoli e le culture con una valorizzazione delle diverse ricchezze, che troviamo nel capitolo quarto. Quindi il Papa delinea nel capitolo quinto le due visioni politico-culturali che oggi spesso «ostacolano il cammino verso un mondo diverso». Si tratta del liberalismo, quando non tiene conto e non si cura dei soggetti più deboli, e del populismo, che si ha quando la politica cerca la popolarità «fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione». Nel capitolo sesto troviamo il metodo che da sempre la Chiesa propone per costruire un mondo più fraterno: è il metodo del «dialogo e amicizia sociale». Ma, attenzione, per Papa Francesco questo non significa relativismo: «Il relativismo non è la soluzione. Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto
che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento». Infatti, sia gli agnostici, attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, sia i credenti, attraverso il fondamento solido che viene da Dio, possono scrutare e riconoscere che ci sono dei «principi etici basilari e non negoziabili». Per questo nel settimo capitolo il Papa invita tutti a «ricominciare dalla verità» della dignità di ogni persona umana. Questa verità è ciò che fonda i percorsi e i processi di giustizia e di pace nel mondo. Ma questa dignità – in ultima analisi – ci deriva dal fatto di essere amati da un Padre buono che ci dà la vita e che ci ha fatti fratelli e sorelle. Per questo − come San Francesco − anche Papa Francesco conclude la sua enciclica con una preghiera al Creatore, Signore e Padre dell’umanità: «infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno… effondi in mezzo a noi il fiume dell’amore fraterno». Amen.

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