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Il movimento dell’anima

Di Francesco Albertini

Se nelle ultime due “puntate” si mostrava come il colore fosse il tasto che muove l’anima, che la fa vibrare, che la sollecita nell’intuizione che tutti i sensi si incontrano e influiscono l’uno sull’altro, anche la dinamicità della forma ha la sua parte. Dice Kandinsky che la vita spirituale è rappresentata da un triangolo acuto: in esso più si scende verso il basso, verso le sue sezioni inferiori e più ci si perde nel vaniloquio incomprensibile; più si sale e più si segue l’andamento stesso del triangolo che per sua stessa natura è portato a salire.
La vita spirituale, dice l’artista, è un movimento in avanti, è un cammino verso il vertice, verso una conoscenza che nobilita l’uomo ma che al tempo stesso lo mette alla prova. Vedere un quadro di Kandinsky significa leggere questo dinamismo con una consapevolezza ulteriore: se la vita spirituale è una costante salita verso l’alto, vi è pure la possibilità di regredire, di finire nelle sezioni inferiori del triangolo.
Se l’uomo per giungere al vertice della forma geometrica deve mettersi in gioco, soffrendo o correndo il rischio di non essere compreso veramente, la base del triangolo diventa il “luogo” del successo esteriore, del materialismo, dell’idolo nel progresso tecnico. Più si scende e più vengono sottovalutate le forze spirituali.
La vita dell’uomo in questo “triangolo esistenziale” diventa il luogo dove l’anima deve decidere se accontentarsi, finendo sempre più sul fondo e nel buio, o ascoltare il suo tormento e gridare per ergersi ben oltre il grossolano coro materiale.
Quand’è che l’arte perde la sua anima?
Quando cerca il suo stesso contenuto nella materialità, nell’oggetto che decide di riprodurre, quando il suo fine diventa inequivocabilmente sé stessa e ciò che rappresenta. Si auto-esaurisce. La svolta allora risiede nel “come” voler riprodurre e rappresentare tale oggetto: se in esso risiede l’emozione dell’anima dell’artista, allora si giunge al risveglio, si arriva al significato stesso che lo ha condotto nel riprodurre quell’oggetto piuttosto che un altro. La ragione, la motivazione ultima, il “che cosa” dell’arte diventa, come dice Kandinsky, il “pane spirituale” del risveglio incipiente. L’arte ha proprio questo compito: assumere in sé stessa il contenuto, la ragione, la motivazione, valorizzandola con tutti i mezzi e le virtù che le sono proprie.
Il 1910 è l’epoca in cui questo sentimento dell’allontanamento dal mondo oggettivo si andava sempre più consolidando ma per quanto altri esponenti lo abbiano incarnato in modo eccellente, l’esperienza e la teorizzazione di Wassily Kandinsky rimane un esempio brillante di come la vita e l’arte non solo si incontrano ma ne svelano il segreto: il mondo spirituale.

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