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Il quadro-manifesto di Nicola Antonio Perone dell’anno missionario 2022-2023

da Redazione

 

Un po’ di carta e qualche pezzettino di ferro, niente di più. Basta questo per costruire una lanterna, un’opera dell’uomo così insignificante e di scarso valore, la quale però, se riscaldata anche solo da una piccola fiamma, può improvvisamente gonfiarsi, prendere il volo ed illuminare l’oscurità
della notte. È questa la vera grandezza, quella che viene da Dio e che nessuno può toglierci.
Nel quadro vediamo infatti una lanterna, la quale si libra nel cielo stellato proprio perché riempita del calore di una stella.
L’opera di Dio, e cioè il firmamento, si unisce all’opera dell’uomo, la lanterna, rendendola grande, luminosa, realizzando in essa ciò per cui è stata pensata e creata, seppur con i materiali più semplici e umili. Unirsi a Dio ci rende davvero grandi, senza inorgoglirci così da sentirci superiori agli altri e più attraenti, ma costituendoci piccole luci che testimoniano la presenza del Risorto nell’oscurità di un mondo abbagliato da una smodata ricerca di consenso e appariscenza. Essere grandi perché uniti a Dio fa sì dunque che si realizzi il progetto di amore che Egli ha su di noi, e questo non può che renderci felici, donandoci la vera beatitudine evangelica promessa dal Signore sul monte. Ma dov’è questa gioia, dov’è questa felicità?
Ci saremmo aspettati di veder rappresentate persone sorridenti, esuberanti, eppure nel quadro sembra non esserci traccia di felicità. In realtà la beatitudine cristiana è tutt’altro che frizzantezza!
La gioia del Risorto è più profonda e radicata di un’effimera giovialità, è più silenziosa e duratura di un rumoroso entusiasmo. La felicità che viene da Dio è opera sua, è inscritta nella creazione, e chi diviene grande perché unito a Dio ne prende realmente parte, venendo così ricolmato di questa felicità che lo riscalda dal di dentro.
L’opera di Dio, le stelle che vediamo nel disegno, di colori diversi e in posizioni ben precise, se unite tra loro, non fanno altro che tracciare la parola “felicità” scritta nel linguaggio braille, la lingua delle persone ipovedenti o cieche. C’è bisogno dunque di conoscere questo linguaggio, praticarlo, a volte con fatica, andare oltre l’apparenza di un semplice cielo stellato, per trovare la gioia di Dio nel cuore delle sue opere.
La vera felicità non fa rumore, non dà spettacolo, ma è necessario avere gli occhi giusti ed uno sguardo profondo per coglierla ed accoglierla anche in quelle situazioni o persone dove sembrano esserci solo notte ed oscurità.
Infine, nella parte inferiore dell’opera, vi sono tre lampioni, un’altra opera dell’uomo. Questi sono molto ben fabbricati, più robusti di una semplice lanterna di carta, capaci di illuminare lunghe strade e grandi piazze. Eppure sono spenti, non illuminano nulla. Inoltre sono diversi tra loro, ma in apparenza sembrano uguali, segnati da toni scuri e freddi, senza una fiamma che li riscaldi e permetta loro di portare a compimento ciò per cui sono
stati creati, e cioè essere uniche e irripetibili luci per gli altri. I lampioni, opere dell’uomo forti e resistenti, illuminano meno di una semplice lanterna, la quale rischiara il cielo perché piena della gioia e della luce di Dio. Essi invece sono collegati solo tra loro da un fragile filo, cercano di darsi grandezza, luce, compiacimento a vicenda, ma questo filo non fa altro che disperdersi nel vento, annullando ogni collegamento con l’opera di Dio. Vi è solo l’uomo, con le sue forze, con le sue sicurezze, ma sganciato dalla relazione con il Signore.
Infine vediamo che tutta l’opera è attraversata da una figura, la quale in una mano reca un calice e nell’altra un pennello, sospeso, come a voler contemplare per un attimo l’opera che ha appena realizzato.
È l’ombra di San Gaspare, il quale con le sue parole ci ricorderà durante tutto l’anno pastorale, che soltanto se uniti a Dio saremo autenticamente felici e grandi, non importa essere piccole lanterne o robusti lampioni, ma è Colui che ci abita e ci riscalda dall’interno a fare la differenza.

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