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Intervista all’arcivescovo Mons. Giuseppe Satriano

Da Redazione
Mons. Giuseppe Satriano, arcivescovo dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto, ha partecipato alle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della parrocchia del Preziosissimo Sangue nel mese di luglio. Ha accolto con cordialità l’invito dei missionari a condividere i giorni di festa per la comunità parrocchiale barese. Alla guida della chiesa del capoluogo pugliese dal gennaio 2021, l’arcivescovo ha visitato per la prima volta la parrocchia guidata dai Missionari dal 1942. I lunghi e travagliati mesi di pandemia hanno ostacolato i primi passi del suo episcopato. Approfittando dell’ottantesimo anniversario come momento di particolare benedizione, l’intera parrocchia del Preziosissimo Sangue in San Rocco si riconosce fortemente legata dalla spiritualità del Sangue di Cristo promossa dal carisma dei Missionari e accolta con entusiasmo da fedeli e laici. Il medesimo entusiasmo ha espresso Satriano, originario di Brindisi e già arcivescovo di Rossano-Cariati (Cosenza), che ha risposto a brevi domande, provando ad attualizzare il messaggio del Sangue di Cristo che, forse, oggi grida
all’uomo il bisogno di salvezza.
Cosa può comunicare il Sangue di Cristo al nostro tempo, in cui l’umanità sta riscoprendo altre ferite e lacerazioni che si sono riaperte?
L’effusione del sangue parla di lacerazione, di ferita aperta che rimanda a rapporti di vita feriti come quello col fratello e, sin dalle origini, con Dio. Il primo fratricidio, quello di Caino contro Abele, trova la sua radice profonda nell’aver voltato le spalle a Dio, smarrendo, così, il senso dell’orientamento del proprio esistere. Quel sangue versato fu il segno di un’umanità che aveva lacerato se stessa, ma si rivelò anche lo spazio teologico di una rinnovata Alleanza.
Quella strada aperta da Dio per il suo popolo, sul monte Sinai con il dono della Legge, raggiunge in pienezza la vita di ogni uomo nel Sangue di Cristo. In Gesù, nella sua vita donata sulla Croce, l’uomo ritrova la sua figliolanza divina.
È nel Sangue di Cristo effuso, versato, donato, che ogni uomo può cogliere l’opportunità di ritrovare la strada del Cielo. È mediante il Sangue di Cristo che l’umanità è riconciliata con il Padre e in se stessa. Nel Suo sangue tutti siamo resi figli dell’unico Padre e ci ritroviamo fratelli, rigenerati all’amore.
Quale può essere la missione e cosa può proporre una realtà missionaria al mondo circostante e nel contesto cittadino frenetico e a volte disorientato?
La dimensione della spiritualità del sangue di Cristo è la chiave. Per le sue piaghe siamo stati guariti, afferma Isaia. Contemplare il mistero della morte in croce di Gesù e del suo essersi lasciato lacerare, ferire diviene elemento significativo per cogliere e leggere l’attualità. Viviamo in una società ferita dalla guerra, dall’indifferenza, dalla violenza che si sviluppa all’interno della dimensione domestica, lungo le strade delle nostre città. Piaghe vive che possono essere risanate dalla morte e risurrezione di Cristo. Proprio da quelle ferite, che Egli mostra da Risorto ai suoi discepoli, non più sanguinanti ma irradianti vita nuova, il Risorto effonde il suo Spirito e ci dona la possibilità di ritrovare noi stessi in una dimensione di riconciliazione con Dio e i fratelli. In questa dimensione, le ferite dell’uomo e le sue lacerazioni, se illuminate dalla grazia di Dio e immerse nel Sangue di Cristo, diventano fonte di luce. Cosa significa perciò vivere la missione? Contattare e avvicinarsi alle numerose povertà sofferte che il mondo e le nostre realtà cittadine presentano. Come Chiesa stiamo sperimentando che non si può vivere in una torre d’avorio, lontani dalle ferite della comunità e della gente, ma che rientra nella nostra missione battesimale fare nostre le piaghe del mondo. Solo così possiamo diventare davvero Chiesa “ospedale da campo”, luogo accogliente e rigenerante per tutti, simile alla locanda in cui il Buon Samaritano porta l’uomo ferito. Come Cristo, Buon Samaritano, che si fa carico dei feriti della storia, così la Chiesa esorta ciascuno a prendersi cura con amorevolezza delle ferite dei malcapitati della storia.
L’atteggiamento in uscita, di prossimità, è in atto grazie al cammino sinodale avviato già durante l’anno pastorale appena concluso?
Il cammino sinodale ci sta consegnando uno stile di chiesa che nasce dall’ascolto. Siamo chiamati a conformarci a Cristo, nell’accoglienza della sua Parola e nell’accoglienza del fratello, anche lui parola di Dio per noi. Oltre a valorizzare l’ascolto, il sinodo sta confermando la necessità di ridare vigore alla corresponsabilità nella vita della Chiesa.
Non è possibile solo giudicare, rimanendo a guardare dalla finestra. Ognuno è chiamato ad amare e saper fare strada insieme ai fratelli. Credo che la sfida in atto sia vitale per tutta la Chiesa. Papa Francesco ci invita spesso a recuperare una dimensione attenta, non giudicante della vita, sapendo aprirsi a quanti, feriti dalle vicende della vita necessitano del balsamo della riconciliazione e della misericordia. Tante sono le iniziative comunitarie messe in atto per tornare ad accostare la vita di tutti. Auspico che si torni a coltivare una fede matura che, centrata su Cristo e il suo Vangelo, possa essere il cuore dell’agire ecclesiale.
Durante l’omelia della Santa Messa celebrata il 1° Luglio insieme alla comunità dei missionari presenti a Bari e a Don Romano Sacchetti giunto dalla parrocchia San Filippo di Putignano, mons. Satriano partendo dal versetto “Il tuo Sangue, Signore, è fonte di vita” ha detto: «La contemplazione del mistero del sangue di Cristo ci aiuti a leggere meglio il nostro tempo; il suo sangue è sorgente di vita. La memoria del sangue di Cristo conduce alla sua sequela, ma guardare al sangue impone attenzione profonda verso di Lui, l’oltraggiato, l’umiliato, il crocifisso che conduce alla salvezza mediante l’offerta di sé. Il suo cammino di dolore si incrocia con le vite, spesso ferite degli uomini.
Nel silenzio prendiamo coscienza di come la nostra esistenza sia piena di lacerazioni, che ci rendono vicini alla sua Passione.
Pensiamo a tutto quello che sta accadendo nel mondo, nelle nostre città, nelle nostre case. Quante ferite ci sono nelle famiglie, nella concorrenza spietata, nei sistemi di governo, nelle ingiustizie. Eppure la salvezza ci viene offerta nel segno della debolezza, della sconfitta, del sangue versato».
Inoltre l’Arcivescovo ha elencato tre parole, tre coordinate per vivere con maggior consapevolezza la celebrazione odierna e la salvezza, significata dall’incontro col mistero del Sangue di Cristo.
Le tre parole sono : Alleanza, Amore e Fratello. «Tutta la storia della salvezza è storia di alleanza, scritta con il sangue di Cristo. Con essa siamo diventati “vicini” a Cristo, mediante il quale possiamo costruire relazioni nuove. La sfida è quella di impegnarci, mettendoci la faccia, abbattendo l’inimicizia e l’indifferenza, dando anche noi il nostro sangue nella vita di tutti i giorni. L’amore è espresso nell’eucarestia, in cui Gesù ha donato tutto se stesso. […]. Come diceva don Tonino Bello “Amare è voce del verbo morire”. Non si può amare se non si è disposti a dare se stessi. L’amare di Gesù risulta incomprensibile, irrazionale e unico. Sulle nostre ferite egli ha versato, senza misura, il suo sangue divenendo balsamo di misericordia, capace di convertire la nostra vita all’amore. La prima conseguenza del peccato è l’uccisione del fratello, l’indifferenza verso le persone. Nel sangue versato di Cristo ritroviamo noi stessi e il volto del fratello.
Per mezzo di Lui possiamo presentarci al Padre con un solo Spirito. Gesù ha dato la sua vita perché tutti noi avessimo la vita vera. Non quella vita offerta dal mondo, incentrata sul successo, sul potere, ma quella vera che nasce dal perdono, dalla riconciliazione. Gesù ci invita a scegliere la vita… sempre. Anche nelle piccole situazioni di ogni giorno siamo chiamati a pronunciarci davanti alla sfida di scegliere pro o contro la vita.Quando penso a una determinata persona, opto per il perdono o per la vendetta, per l’accoglienza o per il rifiuto? Scelgo di farmi avanti o rinuncio? Cerco di cedere o di resistere? Di ferire o di guarire? Condivido ciò che posseggo o accumulo? È Cristo che, con generosità e fiducia, ci ha insegnato ad amare, rendendo l’altro lo spazio teologico in cui fare esperienza di Dio».
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