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L’intelligenza artificiale? No, grazie. Forse, si

di Paul Ndigi
L a scienza fa un passo avanti ogni volta che è in grado di porsi domande importanti prima di darne una risposta pertinente. Il nostro mondo, in costante trasformazione, offre molte proposte di cambiamento di forme varie. Se alcune di queste proposte sembrano essere buone, altre invece non ispirano a un vero progresso. Nel pensiero kantiano la dignità viene riconosciuta a ogni uomo in quanto essere razionale e perciò degno di considerazione come fine e mai come mezzo. La vita è dunque razionale quando è vissuta nel rispetto dei parametri e norme che la promuovono e la proteggano. Tra l’altro, il desiderio di conoscere è la genesi della filosofia. Naturalmente l’uomo, in quanto essere dotato d’intelligenza e di ragione ha anche il diritto di sapere, da cui l’espressione latina: sapere aude, cioè “abbi il coraggio di conoscere”.
Ecco perché il desiderio di conoscere appare come l’attività filosofica fondamentale. La conoscenza è la chiave del potere, cioè chi conosce può agire. Con ragione, Blaise Pascal diceva: «Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero»; è l’attività che permette all’uomo di appropriarsi della verità delle cose. Se uno dei tratti che contraddistingue l’uomo dagli altri viventi è la ratio, e se ogni essere agisce conformemente alla sua natura, possiamo dire che il fondamento dell’attività umana è l’intelligenza. Questa intelligenza però, sembra non essere solo naturale, reale; è anche artificiale.
Ma che cos’è l’intelligenza? Che cosa significa essere intelligenti o cosa ci rende tali? In che cosa è utile all’uomo e fino a quale punto può soddisfare i suoi bisogni? Ora, stabilire se un individuo è intelligente o meno è una vera sfida. Anche se la comunità scientifica non ha ancora una definizione condivisa, alcuni concepiscono l’intelligenza come la capacità cognitiva di affrontare e risolvere con successo situazioni e problemi nuovi o sconosciuti. È uno degli strumenti migliori che abbiamo, un importante alleato nelle situazioni complesse. Il livello dell’intelligenza umana è uno dei temi caldi nel dibattito filosofico e psicologico. In certi ambienti, si fanno delle valutazioni tramite un test per definire il livello di intelligenza della persona. Tradizionalmente attribuita solo alla specie animale, oggi l’intelligenza reale, che richiede comprensione e consapevolezza, viene attribuita da alcuni (anche se in misura minore) alle piante e agli organismi.
Tuttavia, se fin qui l’uomo è sempre stato coadiuvato dalla sua intelligenza per risolvere alcune questioni, con il tempo la sua lucidità viene meno e quindi non è più in grado di soddisfare certe esigenze; questo è un problema che non si può negare ancorché negare l’esistenza di un problema non ci offre alcuna soluzione. Non si può dubitare che ad un certo momento della vita, l’intelligenza umana conosca qualche deficit. Di conseguenza urge l’ausilio di un supporto esterno.
E dove attingere per evitare un guasto a secco mentale?
Vogliamo chiamare l’intelligenza artificiale qui in causa. In cosa è veramente utile all’uomo? È un ottimismo esagerato? Un’ideologia che tende a dominare il mondo, a riorganizzarlo?
In un’epoca del pluralismo e della globalizzazione, non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo divinizzare, tantomeno demonizzare questo strumento.
Però conviene fare una verifica rigorosamente razionale per un buon uso. Da diversi anni ormai, l’uomo è diventato come uno schiavo che pende dagli ordini del padrone e di conseguenza non può farne a meno. Dipende molto dalla tecnologia. Quest’ultima lo accompagna dalla culla fino all’ultimo respiro e si potrebbe dire che “l’uomo è per la tecnologia e non la tecnologia per l’uomo”.
Separarsene a volte richiede sedute terapeutiche. Mentre il campo della ricerca tenta di creare delle macchine che siano in grado di riprodurre o di simulare l’intelligenza umana, l’intelligenza artificiale viene concepita con l’idea di rimpiazzare la mente dell’uomo. Secondo il fisico Federico Faggin il rischio di essere sostituiti dall’intelligenza artificiale diventerà reale soltanto se poniamo l’essere umano sullo stesso piano delle macchine e se pensiamo come loro. È una tecnologia che può affiancare, cambiare le competenze ma non sostituire l’uomo. Per alcuni, è un vero rinascimento perché può creare lavori nuovi e opportunità per l’uomo. La realtà è che l’intelligenza artificiale è concepita e funziona sulla base dell’intelligenza naturale, umana. È l’uomo che lo programma, non si fa da sé. La conoscenza che ha una macchina non è una fotografia del mondo ma una testimonianza del lavoro umano. Infatti ogni costruzione che si vuole solida posa su basi solide. Nel nostro caso, è l’intelligenza reale, umana. Per Carlo Sini non c’è nulla da temere dalle macchine se non il fatto che possiamo usarle male, ma non in quanto la macchina diventi soggetto di un’azione che ci possa nuocere, ma perché noi non siamo all’altezza dell’operatività pratica. Occorre istruire un rapporto etico tra la macchina e l’uomo. Solo che l’intelligenza artificiale non porta doni, può al massimo provare a gestirli. PerJohn R. Searle anche se una macchina fosse in grado di fornire prestazioni intelligenti, non per ciò sarebbe comunque possibile definirla intelligente. In seguito a queste divergenze, l’intelligenza umana e artificiale possono integrarsi senza annullarsi?
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