Primavera Missionaria News. Dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo

“Mal d’Africa – Nakumbuca” ovvero “il sogno continua”

Di Pierino Montini

Don Mario lo descrive come il «traguardo finale di questa memoria degli anni belli della mia vita e di quella di tanti che l’hanno condivisa con me» (p. 4). Il segreto di tutto ciò è decantato nel sottotitolo non collocato sul frontespizio ma in prima pagina: «Un missionario si racconta offrendo uno spaccato inedito…». E, precisamente, lì dove è specificato: «sui rapporti umani da lui intessuti con gli africani e ora rivissuti con sana nostalgia» (p. 1).
Quello che don Mario scrive, quando si riferisce agli anni “belli della mia vita”, potrebbe trasformarsi, e di fatto è proprio così, in anni altrettanto belli per coloro che continuano e continueranno a rendersi disponibili ad accogliere con semplicità e coraggio la realtà che don Mario intende indicare con il termine “coinvolgimento” (p. 31) integrale.
Nella narrazione convergono elementi di storia civile, sociale e politica dall’indipendenza inglese fino ai nostri giorni; componenti economiche; il problema dell’emigrazione; aspetti concernenti la visione umanitaria… Da non sottovalutare neppure l’approccio inerente al carisma peculiare della missionarietà cristiana. Il tutto narrato come un “viaggio culturale” (p. 156) e non solo, in quanto inteso intenzionalmente a confermare che «La catena della carità e dell’amore compie miracoli incredibili, rende più pura l’atmosfera della vita di tutti coloro che sono anelli della stessa catena» (p. 85). Dal convergere di tali elementi in quest’insieme comune non emerge un oggetto-popolo-africano-tanzaniano, dotato di tratti somatici umani e non ben definiti e limitanti, ma un soggetto-popolo-africano-tanzaniano in fieri: da una base generante, costituita dalla così detta Ujamaa o famiglia estesa, sulla quale si basava prima del dominio britannico e si basa ancora il vivere tanzaniano, nello stesso tempo promana culturalmente, socialmente e spiritualmente un’aspirazione tendente ad arrivare a conquistare la soglia autentica, provocante positivamente, rivoluzionaria oltre la quale il carisma profetico di J. Nyerere non si è imboscato, perché autolesionante o autopreferenziale, ma sulla quale i tanzaniani stessi possono aspirare e scommettere il proprio futuro. Dal pensiero di don Mario emerge la certezza evidente che i tanzaniani facciano scelte sull’esempio del loro primo Presidente.
Egli è stato il protagonista della storia nascente della nuova Tanzania. È una delle due personalità carismatiche che, insieme a N. Mandela, tutta l’Africa può vantarsi di aver generato, nonostante la sottomissione coloniale e l’influenza socio-economica esterna, per gravi aspetti assolutamente non neutra, esclusiva e non inclusiva, perpetrata dal mondo islamico. Non è cosa da sottovalutare, infatti, che J. Nyerere è in odore di beatificazione: tanti politici, nostrani e non, avrebbero da apprendere molto dall’esempio coerente, semplice e trasparente dell’agire politico di Nyerere.
Don Mario focalizza umanamente e spiritualmente il cuore della suddetta Ujamaa a tal punto da ritenerla come una dote, preziosa e rara, propria dei popoli africani. E, per questo, non se ne discosta. Ne prende parte.
La condivide e la partecipa insieme agli altri. Ne respira gli odori umani (p. 84). Ne gusta i sapori autentici.
Poi, più e più volte, ampia tale circolarità d’amore e di carità (p. 138) a tal punto da farla avvicinare, lambire, inanellare e concatenare non con aspetti del Vangelo ma con il vivere, il respiro, il cammino del Vangelo.
La cultura africana è diversa e merita rispetto (p. 42): anch’essa ha valori validi (pp. 41-42), nei quali seminare, non imporre, l’annuncio del Vangelo «come un dono di liberazione dalle varie schiavitù umane» (p. 64). L’annuncio del Vangelo deve «sostituire le sicurezze già presenti in quella cultura… con altre sicurezze più grandi» (p. 65): il Vangelo «conferma tutti i valori già presenti in quel contesto di vita e… offre la possibilità di creare una nuova comunità di fratelli, non più basata soltanto sull’appartenenza tribale, ma soprattutto sulla redenzione operata da Cristo a favore di tutti gli esseri umani rendendoli fratelli» (p. 65). Così la singolarità, intesa come l’essere fratelli di ed in una tribù e di altre e con altre tribù ancora (Ujamaa), fonda una sorta di comunione o di koinonia umana, cui fa riferimento il Messaggio divino.
Partire dai presupposti pregiudiziali del loro non contare e del loro non sapere nulla (p. 18), causa ciò che lasciano intuire alcuni fatti curiosi narrati dallo stesso autore: l’inutilità e l’impotenza che il fucile di don Mario ha davanti al pericolo del “serpente cobra” (p. 144) e nel contesto del furto delle banane da parte di una famiglia di scimmie intelligenti (p. 145): si può imparare anche da loro e dalla loro semplicità comportamentale.
Possiamo concludere questi spunti di riflessione sul senso che accomuna la vita di don Mario, dal 1967 ad oggi, con quella dei suoi molti e vari amici africani e non, sintetizzando il tutto con due verbi: spezzare e dare. Verbi presenti nei Vangeli nella narrazione dell’istituzione dell’eucarestia. Ebbene, dalla lettura del libro si ricava la certezza che l’autore è stato e si sente ancora al servizio di quel “voi facciate come io ho fatto a voi”. È chiara e precisa la corrispondenza dell’uso dei due soggetti agenti (voi-io) ed il ruolo partecipativo che intercorre tra l’agire del Cristo e l’agire dei suoi seguaci. L’amore procede, non staziona. L’amore accompagna. L’amore non accetta di essere rinchiuso entro i confini dei pregiudizi e delle emarginazioni. Non esiste alcun gabbiotto che lo possa imprigionare.
Leggendo il volume, talvolta vengono in mente anche alcuni pensieri che fratel Carlo Carretto, recatosi in Africa, precisamente nel Sahara algerino, per formarsi prima di far parte della comunità fondata da san Charles De Foucauld, scrisse nel 1983 nel suo Ho cercato e ho trovato: «Non c’è disoccupazione per chi vive la vita nella carità e cerca la comunione con i poveri. Come non c’era disoccupazione per chi passava la vita laggiù e cercava l’acqua per risanarla e incanalarla a beneficio delle popolazioni assetate e per costruire villaggi, cercando di rendere più umana la vita dei poveri» (Cittadella-Queriniana, pp. 110- 111). Senza dubbio, si tratta di scelte diverse in ambienti differenti, ma è anche evidente che scelte differenti in ambienti differenti prendono ispirazione da un’unica fonte motivazionale: «Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15,5): «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37). Per tutto ciò al termine della lettura si coglie un invito a scavalcare i confini-limiti, che caratterizzano e determinano il nostro vivere occidentalizzante, per fare ingresso in una dimensione integrale. Non omologata. Non un vuoto a perdere o a rendere come, perché e dove si vuole. Il cui bugiardino non imponga, tra gli altri obblighi, quello del dare possibilmente di meno a chi è meno di noi; di accettare di essere privati di tutto ciò che abbiamo ed anche di quello che siamo da color che sono prepotenti nei nostri confronti. E… lasciare distrattamente che con gli avanzi, molto spesso scaduti, che cadono dalla nostra ricca mensa, si nutrino coloro che non riteniamo che siano come noi. “Briciole” come pasto a miliardi di persone (p. 129; e Lc 16,21).
Don Mario ci invita a scommettere in una promessa di salvezza donata in modo relazionale e partecipato, nonostante tutto. Del resto il fondatore della sua Congregazione del Preziosissimo Sangue, san Gaspare del Bufalo, ha scritto: «Che importa a noi se andiamo innanzi nel deserto o per i campi se Dio è con noi?» (Scritti spirituali, IV, n. 460/3). Don Mario, nel contesto della sua vita donata agli altri, non può che accogliere questo consiglio del suo stesso fondatore: «Ringrazi Iddio che fa solo cose mirabili» (Lettera, 85).
Dopo, alla fine della lettura, sfogliando sia le foto che accompagnano l’esposizione sia le numerose foto poste a conclusione della narrazione stessa, tra le quali l’autore compare solo poche volte, in noi resta l’ispirazione che il cuore del contenuto di ciò che don Mario ci confida è in sintonia con un pensiero contenuto nel discorso che papa Francesco ha recentemente pronunciato a Malta, nel corso dell’ultimo incontro con le autorità e con i membri del Corpo diplomatico: «… la soluzione della crisi di ciascuno è prendersi cura di quelle di tutti, perché problemi globali richiedono soluzioni globali».
Al di là dell’essere bianco e/o nero, africano e/o non africano, cristiano e/o musulmano, cattolico e/o luterano. E tutto questo fino a quando non sarà vero che «l’oceano nero di miseria e di dolore si metterà in moto, uscirà dai suoi confini con il boato della disperazione. Quell’oceano della collera dei poveri, degli oppressi, dei delusi. Un oceano ancora misteriosamente calmo. Ma fino a quando? Perché non può durare così» (D. Maria Turoldo, 1967).

Condividi          

Editoriale

Password

Colloqui con il padre

Altri in evidenza

Altri in evidenza

NSDS Marzo-Aprile 2023

Ultimo numero

Nel Segno del Sangue

La nostra voce forte, chiara e decisa sulla società, sul mondo, sull’attualità, sulla cultura e soprattutto sulla nostra missione e vita spirituale come contributo prezioso alla rinascita e allo sviluppo della stessa Chiesa.

Abbonati alle nostre riviste

Compila il modulo on-line con i tuoi dati e riceverai periodicamente il numero della rivista a cui hai deciso di abbonarti.

Le nostre riviste

Primavera Missionaria: il bollettino di S. Gaspare
Nel Segno del Sangue: il magazine di attualità dell’USC
Il Sangue della Redenzione: la prestigiosa rivista scientifica.

Copertina Primavera Misionaria
Copertina Nel Segno del Sangue
Copertina Il Sangue della Redenzione