dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Mandateci in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare

Di Giacomo Manzo
Il motto di don Giussani è valido oggi più che mai
Carissimi lettori e lettrici, in questo numero parliamo di scuola! Non possiamo non farlo, perché la situazione già molto grave dell’istruzione e dell’educazione in Italia è stata ancora di più appesantita dalle chiusure che si sono prolungate in quest’ultimo anno e mezzo a tal punto che in molti hanno parlato di blackout educativo, di collasso del sistema scuola, di pandemia educativa e così via. In questa rivista potrete trovare, quindi, i contributi di tre persone: sr. Anna Monia Alfieri, sr. Francesca Palamà e p. Luigi Gaetani, impegnate direttamente sul campo della scuola, tre paladini della libertà educativa, che hanno avanzato anche proposte molto concrete per aiutare la stessa scuola italiana a ripartire cogliendo l’occasione del momento presente per attuare una riforma del sistema dell’istruzione secondo criteri e valori che in Italia da tempo avrebbero dovuto essere tenuti presenti e che invece sono stati continuamente e colpevolmente trascurati.
Personalmente mi soffermo soltanto su un punto fondamentale che è uno degli elementi-cardine della dottrina sociale della Chiesa: la libertà educativa e la libera scelta della scuola.
Il primo cattolico che sottolineò quest’aspetto con grande forza, contestando duramente le scelte della politica italiana, fu proprio don Luigi Sturzo, che spesso citiamo. Egli già nel 1947 metteva in guardia con un lungo articolo intitolato La libertà della scuola scrivendo: «Finché la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi». Il sacerdote siciliano, poi, era un grande amico della pedagogista Maria Montessori e, quindi, ampliava la sua critica al sistema scrivendo nel 1952: «Mi son più volte domandato perché da quarantacinque anni ad oggi, il metodo Montessori non sia stato diffuso nelle scuole italiane. Allora come oggi, debbo dare la stessa risposta: si tratta di vizio organico del nostro insegnamento: manca la libertà, si vuole l’uniformità; quella imposta dai burocrati e sanzionata da politici. Manca anche l’interessamento pubblico ai problemi scolastici: alla loro tecnica, all’adattamento dei metodi, alle moderne esigenze. Forse c’è di più: una diffidenza verso lo spirito di libertà e di autonomia della persona umana, che è alla base del metodo Montessori. Si parla tanto di libertà e difesa della libertà; ma si è addirittura soffocati dallo spirito vincolistico di ogni attività associata dove mette mano lo Stato; dall’economia che precipita nel dirigismo, alla politica che marcia verso la partitocrazia, alla scuola che è monopolizzata dallo Stato e di conseguenza burocratizzata». Verrebbe da chiedersi perché in Italia la scuola pubblica è stata concepita sempre e solo come scuola statale. Questa visione non è solo dannosa, ma anche profondamente iniqua, come ha spesso spiegato con grande chiarezza il prof. Dario Antiseri: «Il monopolio statale dell’istruzione è la vera, acuta, pervasiva malattia della scuola italiana. Il monopolio statale nella gestione dell’istruzione è negazione di libertà; è in contrasto con la giustizia sociale; devasta l’efficienza della scuola, favorendo l’irresponsabilità di studenti ed insegnanti. Il monopolio statale dell’istruzione è negazione di libertà: unicamente l’esistenza della scuola libera garantisce alle famiglie delle reali alternative sia sul piano dell’indirizzo culturale e dei valori che sul piano della qualità e del contenuto dell’insegnamento. Il monopolio statale dell’istruzione viola le più basilari regole della giustizia sociale: le famiglie che iscrivono il proprio figlio alla scuola non statale pagano due volte; la prima volta con le imposte – per un servizio di cui non usufruiscono – e una seconda volta con la retta da corrispondere alla scuola non statale».
Ci vorrebbe, insomma, un regola chiara, per cui le famiglie devono essere poste nelle condizioni di scegliere la scuola, come ad esempio avviene con il sistema del buono-scuola, per cui i fondi statali, sotto forma di “buoni” non negoziabili (vouchers), andrebbero non alle scuole, ma ai genitori o comunque agli studenti aventi diritto, i quali sarebbero liberi di scegliere la scuola presso cui spendere il loro “buono”.
Diventò celebre negli anni Settanta la Editoriale battuta del sacerdote e grande educatore don Luigi Giussani: “Toglieteci tutto. Mandateci in giro nudi, ma lasciateci liberi di educare!”. Libertà di educazione ed educazione alla libertà sono necessariamente legate. Il suo libro Il rischio educativo è ancora oggi da considerare una pietra miliare nel campo dell’educazione.
Il quinto capitolo di questo testo si intitola Il rischio necessario alla libertà e inizia proprio con queste parole memorabili e da tenere sempre presenti, oggi più che mai: «Scopo della educazione è quello di formare un uomo nuovo; perciò i fattori attivi della educazione debbono tendere a far sì che l’educando agisca sempre più da sé, e sempre più da sé affronti l’ambiente. Occorrerà quindi da un lato metterlo sempre più a contatto con tutti i fattori dell’ambiente, dall’altro lasciargli sempre più la responsabilità della scelta, seguendo una linea evolutiva determinata dalla coscienza che il ragazzo dovrà essere capace di «far da sé» di fronte a tutto. […] L’equilibrio dell’educatore svela qui la sua definitiva importanza. L’evolversi infatti dell’autonomia del ragazzo rappresenta per l’intelligenza e il cuore – e anche per l’amor proprio – dell’educatore un “rischio”. D’altra parte è proprio dal rischio del confronto che si genera nel giovane una sua personalità nel rapporto con tutte le cose; la sua libertà cioè “diviene”.». Perché, dunque, avere paura della libertà?

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