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Mese di Luglio… mese della spiritualità di comunione

Di Giacomo Manzo
Papa Benedetto XVI in una delle sue prime omelie, quella del 2 ottobre 2005 all’apertura dell’XI Sinodo dei Vescovi, a riguardo del tema biblico della vigna e del vino diceva: «Il pane rappresenta nella Sacra Scrittura tutto quello di cui l’uomo ha bisogno per la sua vita quotidiana. […]. Il vino invece esprime la squisitezza della creazione, ci dona la festa nella quale oltrepassiamo i limiti del quotidiano: il vino “allieta il cuore”». Così tratteggiava chiaramente la distinzione perché mentre il pane ci dà il necessario, il vino invece ci offre la festa, ovvero tutto ciò che va oltre: rappresenta la festa proprio perché indica la sovrabbondanza di Dio. Il frutto dell’Eucaristia, il suo culmine, non può che essere il raggiungimento della massima gioia del cristiano che altro non è che la festa del banchetto eucaristico, la comunione con Dio e con tutti gli uomini. Non si può non cercare di approfondire in questi termini la nostra spiritualità.
Certamente l’eucaristia ci ricorda costantemente che la vita cristiana è la comunione ed è per questo che, oltre al triduo pasquale in cui celebriamo il mistero del dono del Corpo e Sangue di Cristo per la nostra salvezza, la Chiesa ci fa anche vivere la festa del Corpo e Sangue di Cristo come festa di adorazione dello stesso mistero eucaristico. Tuttavia, rimane nella Chiesa la tradizione di dedicare il mese di luglio al Sangue di Gesù Cristo e così il 1° luglio rimane ancora per la nostra Congregazione la giornata liturgica della solennità del Preziosissimo Sangue. Questo perché nel Sangue di Cristo contempliamo un di più che risalta dal mistero eucaristico e che si lega direttamente anche al dono dello Spirito Santo. Non dimentichiamo, infatti, che in moltissime anafore antiche troviamo proprio questo collegamento.
Ad esempio nell’anafora di Giacomo troviamo: Gesù «prese il calice… rese grazie, pronunciò la benedizione, lo riempì dello Spirito Santo, lo distribuì…». Sulla stessa linea abbiamo anche l’anafora di Marco Evangelista. Insomma dire che Cristo riempì il calice del Suo Sangue o dire dello Spirito è secondo questi testi la stessa cosa. Contemplare il mistero del Sangue di Cristo significa celebrare questa realtà della “gioia della comunione”, della “bellezza dell’unità dei carismi”, della meraviglia del corpo ecclesiale.
La grande Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari, nel XIX secolo è stata forse la persona che più di tutti ha avuto nella Chiesa questa ispirazione di mettere di più al centro l’unità, la comunione, la gioia. Lei spiegava benissimo tutto questo come “spiritualità collettiva” o “comunitaria”. Per tanto tempo – diceva − si è parlato più di spiritualità individuale, che è importante e decisiva, ma il fine di un cristiano sono le nuove relazioni. Farsi santi? Sì, ma insieme. Andare avanti nel santo viaggio?
Sì, ma insieme. Tutto è insieme. Lei diceva: «Noi amiamo Dio in noi come Dio nei fratelli. Come devo volere la mia santità, desidero anche quella degli altri». In modo molto profetico sottolineava come nella spiritualità individuale viene di solito sottolineata l’importanza della solitudine, del distacco con penitenze, digiune, rinunce, veglie di notte, il silenzio, soprattutto nella cella interiore del cuore. Ebbene, lei aggiungeva che nella spiritualità collettiva, le cose cambiano, si completano e invece della solitudine noi andiamo a Dio attraverso i fratelli e le caratteristiche di prima, quelle dell’ascesi, ora le ritroviamo nel “fratello” che, in vari casi, ci fa fare penitenze. Per gli altri si fanno rinunce e quante volte ci tocca vegliare per loro. Al posto del silenzio, subentra anche l’importanza della comunicazione, del dialogo, del parlare.
La comunicazione fonda la comunione.
Lei diceva in modo anche ironico: «Un focolarino senza la lingua non ha la vocazione!». Forse questo vale anche per la spiritualità del Sangue di Cristo, che è il fondamento, il luogo teologico della comunione cristiana.
Non soli, ma insieme. Non il silenzio, ma il parlare. Non solo la cella interiore, ma costruire le tante cellule del corpo mistico della Chiesa, che sono appunto le tante “comunità” con i fratelli e le sorelle che il Signore mette nella nostra strada.
In una sua omelia sul sangue di Cristo, padre Raniero Cantalamessa si chiedeva: «Ma come è possibile che lo stesso segno rappresenti, in quanto sangue, la sofferenza e, in quanto vino, la gioia?
Non si escludono a vicenda queste due cose? No, se pensiamo al sacrificio fatto per amore, come fu quello di Cristo.
Il vino, che la Bibbia chiama spesso “il sangue dell’uva”, ricorda il misterioso rapporto che esiste, nell’esperienza umana, tra amore e sacrificio. “Non si vive in amore senza dolore”, dice la Imitazione di Cristo. Quanti sacrifici comporta, per dei giovani sposi, l’arrivo del primo bambino, ma anche quanta gioia! Il vino eucaristico rappresenta la gioia del sacrificio!».
Quanto è importante nella Chiesa di oggi sottolineare molto di più il fine della nostra vita cristiana, che è appunto la gioia della comunione, che è sempre una gioia del sacrificio perché è il frutto dell’amore cristiano. Questa è la spiritualità del Sangue di Cristo!
Sarebbe bellissimo dedicare il mese di luglio − e il 1° luglio in modo particolare – alla bellezza della spiritualità dell’unità, alla gioia della comunione cristiana, con tutta la ricchezza dei differenti carismi della stessa Chiesa.
Editoriale

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