Primavera Missionaria News. Dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo

Misericordiati in cammino

Di Terenzio Pastore

“Questa è sempre casa tua” – dalla PARTE I: “DI CASA NON CE N’È UNA SOLA”
Il nostro cuore dovrebbe essere una casa capace di offrire a chiunque un posto accogliente. Così è, per ciascuno di noi, il cuore di Dio: abbiamo sin da ora un posto privilegiato, esclusivo. Lui, però, guarda lontano: ce ne ha riservato uno per l’eternità (cfr. Gv 14,1-2). In mezzo c’è il cammino della nostra vita che, come per i due figli della parabola (cfr. Lc 15,11-32), si snoda tra lo stare in casa e il voler fuggire, il lamentarci per ciò che abbiamo e lo sprecare un patrimonio, l’accusa a chi abita con noi e la speranza di ricevere il perdono, il cadere e il rialzarsi, il mettere anelli al dito calzari ai piedi e far festa o il desiderare il cibo dei porci, il pensare di aver perso tutto e lo scoprire che ci eravamo completamente sbagliati.
Giorno per giorno, per gustare la meraviglia della vita, per conservare la speranza anche nei momenti più bui, per guardare oltre l’orizzonte delle nostre miserie, non possiamo fare a meno di lasciar risuonare in noi la voce del Papà: “Questa è sempre casa tua”.
Qualunque cosa accada, Lui c’è.

Dare senza attendere – dalla PARTE II: “LO SCRIGNO SI RIAPRE”
Molte volte poniamo delle condizioni, facendo dipendere il rispondere al male con il bene dal comportamento altrui.
Vincoliamo, così, la concessione del perdono alla richiesta di scuse, o al fatto che l’altro riconosca le sue responsabilità, o che prometta/si impegni a non ripetere più quanto commesso, e via dicendo.
Usiamo magari toni minacciosi, da “ultima spiaggia” e, non di rado, aggiungiamo un elenco di ciò che si scatenerebbe in caso di ulteriori errori/offese. Cerchiamo di tutelarci dal pericolo che, nell’eventuale concessione della “grazia richiesta”, si possa approfittare della nostra presunta bontà. Questo è il modo di pensare che, spesso, orienta le nostre relazioni; questo è ciò che consigliamo agli altri, ai nostri amici, o che insegniamo ai figli o ai nipoti. Per educarli.
Caro lettore, proviamo a chiederci: “Cosa succederebbe se Gesù ponesse le stesse condizioni a ciascuno di noi, prima di perdonarci?”. Gesù, invece, continua a elargire misericordia, a soffrire per la nostra durezza di cuore, a dare senza attendere, a curare con la terapia del perdono le nostre fragilità: è la sua via, non ce n’è una migliore!
Con la terapia del perdono, la terapia della misericordia, il Signore ci rende consapevoli che i suoi doni sono frutto di amore, gratuito, totale. Non solo: noi vorremmo che non solo Dio, ma anche gli altri adottassero verso di noi la stessa terapia. Ecco perché dovremmo, a nostra volta, usarla sempre. Ecco perché dovremmo dare senza attendere; ecco perché non dovremmo stancarci di seminare il bene. In ogni occasione.

Padre lavoratore – dalla PARTE III: “IL CUORE DI UN PADRE”
I quattro don, dopo aver trascorso oltre un’oretta insieme, lasciano il locale. All’uscita incontrano un altro sacerdote, quasi ottantenne. Cammina con fatica, appoggiandosi a un bastone, ma conserva lucidità e memoria invidiabili. Non tragga in inganno qualche lacuna su alcuni passi del Vangelo, del tipo: “Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, oppure “il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,3-4). Non sono dimenticanze; semplicemente si tratta di un lessico che non ha mai approfondito, ritenendolo estraneo al suo ideale di vita.
I quattro don, in coro, lo salutano con affetto: “Buongiorno, don Questolhofattoio”. Trovandosi di strada, fanno un tratto insieme con lui, accompagnandolo al portone della chiesa dove si sarebbe fermato per le confessioni. Don Primadimeilnulla, conoscendo il suo “debole”, esclama: “Che bella questa chiesa!”. Immediata la risposta: “L’ho fatta io! Non lo sapevi? Vedi, c’è pure la lapide!”. Le inevitabili risate accompagnano il ritornello del don e proseguono quando i quattro, continuando per la loro strada, rievocano gli aneddoti che il poverino ripete, ciclicamente e instancabilmente, a chiunque lo incontri. Dimenticando, però, che senza la collaborazione e la generosità dei fedeli nessuno di quei lodevoli progetti poteva essere realizzato! Neppure questo fa parte del suo lessico…
La sfida, quotidiana e periodica, di ogni sacerdote, può essere sintetizzata così: cerco i miei interessi o quelli di Gesù?
Vivo come uno dei quattro don citati, per diventare un giorno don Questolhofattoio, oppure vivo le quattro vicinanze del prete? Sto scrivendo nel gran libro della Chiesa nuove pagine di clericalismo, autoreferenzialità, mondanità, oppure di dono, compassione e tenerezza?

“Cca’ s ferm l’orologg!” – dalla PARTE IV: “IL CENTRO DELLA CHIESA”
“Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68) “Qui si ferma l’orologio!”, avrebbe commentato papà. Seguiamo il suo consiglio, caro lettore, e approfondiamo. Anche perché le conseguenze di queste parole di Gesù sono, nell’immediato, davvero drammatiche. La folla non interviene più e i discepoli mormorano alla grande. San Giovanni ci dice il perché: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?” (v. 60). Gesù replica, certificando il valore di ciò che ha pronunziato: “Le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita” (v. 63).
Per chi gli sta intorno è davvero troppo, la delusione è totale: chi era accorso per gustare il nuovo menù, attendendosi prelibate sorprese, ha capito che, invece, quello sarà un giorno di digiuno. Gli occhi di Gesù, che poche ore prima si soffermavano su volti sorridenti e abbracci festosi, ora fissano le schiene di chi si allontana a capo chino. Uno dopo l’altro vanno tutti via. Se Gesù fosse stato alla ricerca di consensi, di like, lo avrebbe considerato il giorno del tracollo: i suoi followers spariscono. Quasi tutti. Dei cinquemila, senza contare donne e bambini, restano soltanto i Dodici. Lui, che è venuto per annunziare la verità di Dio, non può venir meno alla sua missione: on ci possono essere ritrattazioni, sconti o percorsi privilegiati. Strano anche per
quel tempo, ma neppure la raccomandazione è prevista. Gesù, d’altro canto, allora come oggi, non obbliga nessuno a seguirlo: cerca persone che, liberamente, scelgano di farlo. “Volete andarvene anche voi?” (v. 67), chiede ai Dodici. Quel giorno, la risposta di Simon Pietro è un raggio di sole, per il suo gruppo e per i iscepoli di ogni tempo: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (vv. 68-69).

N.B. La PARTE V – “NON SOLO UN’APPENDICE” – è il racconto della Missione vissuta in Tanzania, nello scorso mese di novembre, che mi ha consentito di conoscere la situazione del villaggio di Kinangali. In quei giorni è nato il progetto “ACQUA NEL DESERTO”.

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