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Missione Tanzania – “cose da Dio”

Di Terenzio Pastore

PRIMI DI GIUGNO

La somma raccolta mediante il libro Questa è sempre casa tua autorizza a pensare alla realizzazione del Progetto “Acqua nel deserto”. Contatto don Reginaldo, il Missionario responsabile del “Water Project”, letteralmente “Progetto Acqua”, con cui da anni sono stati scavati pozzi in tante zone del Paese. Ci sentiamo più volte. Dopo alcuni giorni, con l’iter per Kinangali ben avviato, giunge una notizia inattesa quanto sorprendente: il villaggio rientrerebbe − il condizionale, anche da queste parti, è d’obbligo − in un progetto dello Stato, con cui verrà portata acqua in quel territorio, nei pressi del deserto del sale. Che grande gioia! So che anche a Mkiwa sono senz’acqua. Il pozzo si potrebbe scavare lì. Qualche ora dopo invio un messaggio a don Alessandro. La sua risposta non ammette tentennamenti: «Sarebbe una grazia!». Aggiunge che siamo nella stagione secca; è il tempo giusto per scavare. Se si trovasse l’acqua, non sarebbe superficiale, ma di falda. Attiviamo immediatamente gli altri contatti.

FINE GIUGNO

In un giorno che sembra simile a tanti altri, a Mkiwa arrivano degli sconosciuti. La curiosità lascia spazio alla speranza quando ne viene svelata l’identità: sono i tecnici, inviati da don Reginaldo per sondare il terreno e individuare i punti dello scavo. Don Alessandro in serata mi partecipa la commozione dei parrocchiani. Meno di un mese prima, nell’incontro diocesano di Singida, il responsabile laico del Consiglio Pastorale aveva presentato la situazione del villaggio, asserendo che lo sviluppo della Comunità sarebbe dipeso proprio dall’acqua. Non poteva sapere che “l’obbligo del condizionale” stava per terminare…

PRIMI DI LUGLIO

Una decina di giorni dopo l’apparizione dei tecnici a nessuno degli abitanti di Mkiwa sfugge il polverone sollevato da due camion. Gli operai li posizionano nei pressi del punto designato per lo scavo.
L’indomani don Alessandro imparte la benedizione, e si comincia. Da queste parti sanno bene che l’acqua è dono di Dio. E a Lui non sarà certo sfuggita l’implorazione di un intero villaggio che chiede il necessario per vivere!
La fiducia dei “Watoto wa Mungu” − in swahili, la lingua di gran parte dell’Africa centro orientale, i “Figli di Dio” − non si affievolisce, dopo due giorni di scavo, infruttuosi: si è arrivati a 162 metri senza trovare altro che roccia. L’indomani si cambia sito e, a circa 60 metri, la trivella affonda, senza più ostacoli. Un getto fuoriesce, vigoroso, come dal collo di una gigantesca bottiglia, scatenando l’entusiasmo: “Maji, maji, maji”. In un baleno la notizia raggiunge tutta Mkiwa! “Maji”, in swahili, significa “acqua”.
Nel giro di qualche giorno si appura che la falda trovata è abbondante, e l’acqua è di ottima qualità. La mia partenza per la Tanzania è prevista per l’8 agosto. Con don Alessandro concordiamo che la benedizione del pozzo ci sarà domenica 14, dopo la Messa. A meno di cinque mesi dall’uscita del libro. Come nelle favole! Meglio delle favole! Cose da Dio!

9 AGOSTO

Arrivo a ITIGI nella tarda mattinata.
Don Justin, il Direttore del St. Gaspar Hospital, e il “nostro” fratel Andrea, suo collaboratore, mi rendono partecipi che, da poche settimane, è iniziato un “nuovo giorno” per l’Ospedale. Uno dei più importanti progetti avviati in questi mesi è realtà!
Il sistema di computer, collegati tra loro, è una vera rivoluzione. I dati dei pazienti possono essere memorizzati; chi ritorna qui non dovrà più attendere ore prima che si rintracci la sua scheda. Basta un click. E basta un clic pure per segnalare alla farmacia quali medicine vanno consegnate, per controllare l’esito di esami…
La gioia si moltiplica quando don Justin mi introduce nelle stanze in cui sono i dentisti. Sono in dieci, vengono dagli USA, alcuni di loro sono tecnici, e stanno montando le attrezzature. Qualche anno fa pensammo a questo tipo di progetto. Un Missionario, don David, mi disse che in Tanzania la stragrande maggioranza della popolazione si rivolge al dentista quando non ne può fare a meno. Per circa 50 milioni di abitanti i dentisti erano 25! La sua città, Morogoro, rispecchiava pienamente la media: un unico dentista per 2 milioni di abitanti!
Nello scorso novembre don Justin mi aveva accennato di un “americano”, che avrebbe voluto donare delle attrezzature, perché l’Ospedale disponesse di uno studio dentistico. Ma chi poteva immaginare che arrivasse un camion pieno, oltre che di sedie − quelle “delle torture” −, di strumenti e medicinali? Un camion che provvederà anche al dispensario di Malongwe, a due ore da qui? Chi poteva immaginare lo staff di 10 medici e tecnici che, per una settimana, avrebbe fatto decine di visite e interventi? Meglio delle favole! Cose da Dio! Una Strabenedizione!

11 AGOSTO

Incontro “l’americano”. Si chiama Mike, è il papà di Logan, a cui una morte prematura, a soli 24 anni, ha negato il sogno di diventare dentista. Mike combatte a colpi di carità il dolore per la morte di suo figlio.
Mike pensa che Qualcuno lo guidi. Mi ha detto che non devo ringraziare lui, ma soltanto “Mungu”. In swahili: “Dio”. Dopo colazione, con lo staff USA, Mike è andato a Malongwe. Rientreranno stasera. Domani, oltre a benedire il pozzo, ci sarà da inaugurare ufficialmente lo studio dentistico.
Ieri, intanto, al St. Gaspar Stadium, nel Centro Sportivo dedicato a Carmelo Imbriani −calciatore e allenatore deceduto a soli 37 anni a causa del linfoma di Hodgkin −, c’è stato l’atteso match tra lavoratori e studenti dell’Ospedale. La partita di calcio assegnava la “Mbuzi Cup”. “Mbuzi”, cioè “capra”: il docile animale era l’ambito trofeo, che certamente non rimarrà esposto in una bacheca.
Il pomeriggio di Itigi ha esaltato i valori umani e sportivi testimoniati da Carmelo, ricordato prima del match. Siamo all’inizio di una nuova stagione calcistica: speriamo accada spesso, su ogni terreno di gioco, qualunque sia la posta in palio…
La consegna del premio è stata preceduta dal ringraziamento ai contendenti, per aver dato vita a un bel momento di gioia e di fraternità, e dall’augurio che ciascuno di loro, grazie all’impegno quotidiano nello studio e nel lavoro possa, con l’aiuto di Dio, vincere la partita della vita.
Per la cronaca, la “Mbuzi Cup”, che contrapponeva i “Verdi” ai “Neri” − dai colori delle magliette – ha visto il successo dei primi per 2−1. Il gol vittoria è stato segnato da uno “mzee” − che, in questo caso, si può tradurre con “non ventenne” − di carnagione chiara, entrato in campo all’inizio del secondo tempo, a cui è stato consentito di indossare la maglia giallorossa, quella del Benevento…

16 AGOSTO

I giorni, a Itigi, sono davvero volati. Lo start della giornata, in Ospedale, è particolarmente significativo. I lavoratori si ritrovano ogni mattina per la preghiera. Affidano a Dio il loro lavoro. Perché sia missione.
Pregano insieme, anche se tanti non sono cattolici. Non posso non pensare che invocare “Mungu” costantemente, con fiducia e speranza, contribuisca a ricevere delle “strabenedizioni”. A toccare con mano il Suo agire, le Cose da Dio!
Tra gli argomenti affrontati nelle varie riunioni la collaborazione con chi potrà permettere di migliorare l’offerta formativa, condividendo il proprio “sapere”. Siamo vicini a una nuova convenzione con l’Ospedale “Bambino Gesù” e, nei mesi scorsi, abbiamo avuto dei contatti con “Humanitas”. La formazione di medici e infermieri si tradurrà in cure migliori. Vite salvate.
Migliore qualità della vita. A “Mungu” non si può non chiedere che benedica questi progetti. E ne permetta la realizzazione. Per il bene dei Suoi figli.

20 AGOSTO

Sono sulla via del rientro. Mi tocca una lunga sosta nell’aeroporto di Doha, in Qatar. Sì, proprio dove si giocheranno i Mondiali di calcio “altrui”. Quelli di cui noi italiani saremo spettatori. Speriamo primeggino valori da “Mbuzi Cup”! Sarà una coincidenza, ma qui si inneggia al miglior aeroporto del mondo…
Mike, invece, domenica scorsa ha ripetuto più volte che le coincidenze non esistono. La scaletta accuratamente preparata dopo la Messa − come si usa fare in Tanzania nelle occasioni importanti −, non poteva non prevedere un suo intervento. Mike ha ribadito il provvidenziale incontro con un Missionario, a cui ha condiviso la volontà di realizzare quel progetto in memoria di Logan. Progetto proposto in precedenza alla Chiesa Luterana, di cui Mike fa parte.
Gli hanno risposto di no. A loro non serviva. E lui ha visto in quel rifiuto una volontà di Dio che lo portava a cercare altrove. Così è arrivato a Malongwe e a Itigi.
Mentre andavamo a benedire lo studio dentistico mi sono chiesto: «Chissà cosa vuol farci capire, Dio, da questo inizio di collaborazione. E da quello che seguirà». In un luogo “di periferia” come Itigi la “Strabenedizione” di dieci medici e tecnici. Nessuno di loro è cattolico. C’è solo da lasciarci guidare, passo dopo passo…
Intanto, ci siamo dati l’obiettivo di coinvolgere altri dentisti, americani e italiani, che assicurino una presenza periodica durante l’anno…
Con il passare dei giorni abbiamo avuto modo di conoscere meglio “i dieci”, e di condividere alcune esperienze. Di vita e di fede. Due di loro, Ryan e sua moglie Analia, domenica scorsa sono venuti a Mkiwa.
Sono entrambi mormoni, ma hanno voluto partecipare alla Messa. Poi, hanno assistito a quanto la Comunità aveva preparato. La scaletta. Quella che mi ha tolto la parola.
Mi ci sono voluti alcuni giorni per riprendere a scrivere e raccontare qualcosa dell’accaduto, che resta esprimibile in quantità davvero limitata
Ha preso la parola il responsabile laico del Consiglio Pastorale, quello che aveva presentato la situazione del villaggio in Diocesi, a Singida. Ora ha un volto e un nome: Anthony. Con voce entusiasta e appassionata ha espresso a nome di tutti il ringraziamento per il dono dell’acqua.
Un dono di Dio, impensabile fino a qualche tempo fa. Anthony ha continuato dicendo che Dio − “Mungu” − si è servito di me perché nel villaggio, finalmente, ci fosse l’acqua. Ha aggiunto che chi fa qualcosa per il villaggio ne è parte. E chi fa una cosa così importante non solo ne è parte, ma ne è il Capo. A quel punto, tra canti e danze, tra sorrisi e applausi, mi hanno consegnato ciò che necessita al Capo, per guidare e difendere il villaggio, ma anche per mantenersi in buona salute. Uno dopo l’altro, tra canti e danze, sono stati portati all’altare sgabello−trono, mantello, scudo, bastoni, lancia, coperta, capra, due galline, uova, mega zucca ripiena… Su alcuni oggetti hanno unito ai loro colori − anzi, ai nostri colori − frasi di ringraziamento per il mio 25° anniversario di Sacerdozio.
Impossibile descrivere cosa ho provato in quei momenti… Quando la scaletta prevedeva il mio intervento, cercando di vincere commozione e groppo in gola, ho invitato a ringraziare il Signore: è Lui a suscitare il bene. Accadono miracoli quando comprendiamo la Sua Volontà e ci rendiamo disponibili a viverla. Ho aggiunto che, come Capo, non potrò non pregare ogni giorno per il Villaggio. Poi siamo andati a benedire il pozzo. Nel tragitto una Suora mi ha ripetuto più volte: «ASANTE KWA MAJI» − «GRAZIE PER L’ACQUA».
Chissà da quanti stenti prorompeva quella voce…
Mi è stato spiegato che non si è trattato di parole o gesti di circostanza. Anthony ha ufficializzato il massimo riconoscimento per la tribù. Un riconoscimento a tempo illimitato, per tutta la vita: Mtemi. Per dirla tutta: Capo della tribù Nyaturu di Mkiwa.
In swahili: «Mtemi na Wanyaturu na Mkywa» − «Un Villaggio che, oggi, è molto più grande». Ne fanno parte tutti coloro che, acquistando il libro o devolvendo offerte per il progetto “Acqua nel deserto”, hanno permesso di scavare il pozzo. Ciascuno ha contribuito a riempirlo, versandovi il suo bicchiere d’acqua…
Ho iniziato a pensare allo scavo di un secondo pozzo. Dopo la conferma che il progetto del Governo porterà in breve acqua a Kinangali ci sarà da individuare il luogo con le maggiori necessità.
Nei giorni successivi, a Dodoma, il 20° anniversario del “Villaggio della Speranza” mi ha richiamato un versetto del Salmo 107: «Con Dio noi faremo cose grandi». Con Dio. Non da soli. Gesù lo ribadirà: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).
Don Vincenzo e suor Rosaria hanno iniziato nel 2002 a prendersi cura dei bambini orfani malati di AIDS. Bambini abbandonati. A cui nessuno tendeva una mano.
Gli ultimi.
Le difficoltà non sono mancate, ma quanta grazia! Pensavano di accompagnarli verso una morte prematura quanto inevitabile e, invece, la stragrande maggioranza di quei bambini ce l’ha fatta. Bambini a cui è stata data una casa, una famiglia. Bambini a cui è stata data la possibilità di giocare, di avere un’istruzione, di crescere. A bambini che sembravano destinati a una fugace apparizione su questa Terra è stato spalancato il futuro. Con dignità. Con fiducia.
Sarebbe già tantissimo. Ma c’è anche altro.
Un’abbondantissima semina di Vangelo.
Semi passati da cuore a cuore. Semi che hanno generato o alimentato la gioia della fede. Semi che hanno suscitato scelte di servizio e di carità. Semi di speranza, che consentono di vedere l’altro e le vicende della vita con gli occhi di Dio.
Il “Villaggio della Speranza”, oggi, è un segno luminoso dell’opera di Dio. Dio che chiama ciascuno a essere seminatore di Vangelo. A fare, con Lui, cose grandi. Cose da Dio!
Riprendo a scrivere dopo aver raggiunto lo spazio attiguo al gate del volo che mi riporterà a Roma. Attraversare l’aeroporto “migliore del mondo” mi ha fatto ripensare al viaggio in auto da Dodoma a Dar. Circa 500 chilometri. Percorsi in 11 ore, sosta per il pranzo compresa. Che contrasto tra ciò che ho visto e la sciccheria di qua!
Tra le istantanee impresse nella memoria:
specchi d’acqua marrone condivisi da persone e animali; piedi scalzi o con calzature consunte, ma ugualmente sporchi; uomini, donne e bambini accovacciati sul ciglio della strada, pronti a fiondarsi verso i finestrini delle auto che rallentano, sperando di vendere i loro prodotti; case di sterco, una delle quali sbilenca, forse resa tale dalla forza dell’acqua nella stagione delle piogge.
Nell’aeroporto di Doha c’è la possibilità di calciare un pallone verso una porta elettronica, che segnala la velocità del tiro. Nel tragitto da Dodoma a Dar ho visto bambini e ragazzi correre dietro a un pallone su tanti campetti polverosi. Nella porta più ingegnosa un palo era un pezzo di legno sulla cui sommità era stata fissata una corda, che un ragazzo teneva tirata. Quel ragazzo era anche l’altro palo!
Il mio cuore, al termine di questi giorni, è ricolmo di gratitudine. Ma quanto c’è ancora da fare. E ce ne sarà sempre.
In Tanzania. E dovunque. «I poveri li avrete sempre con voi» (Mc 14,7), dice Gesù. E non c’è solo la povertà materiale…
ASANTE SANA, MUNGU BABA!
Grazie, perché in questi giorni mi hai fatto gustare la bellezza della Tua opera.
Grazie, perché ti prendi cura di tutti. Davvero.
Bussa, bussa forte alle porte dei nostri cuori.
Rendici pronti ad accogliere la Tua volontà.
Il mondo ha bisogno di Te! Di… Cose da Dio!

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