dal 1953 la voce di San Gaspare nel mondo
Nuove sfide… Nuove benedizioni

Da Andrea Velocci, cpps
Il nostro Missionario fratel Andrea è di nuono in Tanzania e di nuovo riprende a scrivere su questa rivista e a comunicarci ciò che avviene #inmissione
RITORNO IN TANZANIA…. RITORNO IN MISSIONE
«Quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita […] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi”: così scrive san Giovanni nella sua prima lettera (cfr. 1Gv 1-3) ed è forse proprio questa la ragione ultima (o forse la prima) per cui oggi mi trovo in Tanzania!
Ci siamo lasciati qualche mese fa ormai, prima della grande pandemia di Covid 19 quando – un po’ improvvisamente – siamo stati costretti a sospendere la rubrica #inmissione di questa rivista e di cose, nel frattempo, ne sono cambiate molte, ma intanto… sono tornato in Tanzania!
Sono fratel Andrea e da qualche settimana mi trovo di nuovo al St. Gaspar Referral and Teaching Hospital di Itigi, l’Ospedale di riferimento nazionale dedicato a san Gaspare, costruito, gestito e sponsorizzato dai Missionari del Preziosissimo Sangue ormai da 32 anni.
Se il tornare qui è stato da un lato come riprendere a camminare su una strada che già avevo iniziato a percorrere, dall’altro è stato l’inizio di un cammino nuovo, intrapreso “ufficialmente” – dopo l’incorporazione del 4 luglio scorso – da missionario come fratello coadiutore. Un cammino ancora di più nuovo per il delicato momento storico che l’umanità e anche la Tanzania stanno attraversando: la pandemia in corso e tutto ciò che ne deriva.
Personalmente posso dire che il mio rientro in Ospedale – dove ho rivisto e riabitato luoghi familiari e ripreso a camminare per quei corridoi che avevo percorso per mesi in lungo e largo – l’ho vissuto davvero come un vero e proprio ritorno a casa.
È stato emozionante essere accolto con gioia dai confratelli nella nostra piccola comunità missionaria all’interno dell’ospedale e dalle suore delle diverse congregazioni che collaborano con noi e che, come loro solito, con la cura unica di “madri”, avevano già sfornato dolci per il mio arrivo. È stato bello e commuovente vedere la sorpresa del personale sanitario – i “colleghi” di ogni giorno – che non si aspettavano questo ritorno e l’entusiasmo dei bambini della nostra scuola, sia di quelli a cui ho insegnato e che per qualche secondo hanno avuto il dubbio che fossi veramente io – nascosto com’ero dalla mascherina e dopo i mesi passati – sia (e che ridere!) dai nuovi arrivati a scuola in questo periodo, che pur non conoscendomi facevano festa e correvano senza sosta senza capire bene il motivo, ma soltanto perché i compagni facevano lo stesso!
Oltre il mio stato emotivo c’è da dire però che non poche cose sono cambiate nel Paese e questo è molto evidente. Certo, dire che la Tanzania oggi è un’altra Tanzania, sarebbe forse troppo avventato da parte mia, ma questi due anni di incertezza ed instabilità dettati dal virus (qui chiamato Uviko-19) che con violenza è entrato nelle nostre vite hanno modificato anche qui i rapporti interpersonali e le attenzioni verso l’altro. Ricordo bene la gioia e la spontaneità degli abbracci, del passeggiare mano nella mano non solo tra fidanzati ma anche con amici, parenti e conoscenti (una delle abitudini più caratteristiche del Paese) o il mangiare dallo stesso pianto attingendo con la mano destra: tutto ciò ormai è, purtroppo, solo un grande ricordo.
Dai saluti (uno dei momenti importanti dell’incontro tra due persone) al fare la spesa nel mercato tra le bancarelle ammassate e la gente che spunta da ogni dove come nelle favelas brasiliane oppure dal prendersi cura di un bambino che arriva in ospedale spaventato e a cui, tra guanti e camice, non puoi trasmettere il tuo calore e a cui non riesci a mostrare il tuo sorriso perchè nascosto dalla mascherina o a rassicurarlo con i tuoi occhi velati dalla visiera, al pregare in chiesa o nei reparti all’inizio della giornata – qui dove il pregare è tutto un “fare insieme”, rendendo lode con i fratelli – senza poter ballare con il vicino, potersi sfiorare nei movimenti soliti, potersi stringere ed unirsi spalla a spalla… ecco così che il ritornare sta significando, più di quanto pensassi, un imparare di nuovo! Eppure sono tornato ed è tempo di riprendere il cammino!
Non so quantificare quante volte, in questi mesi lontano dall’Africa, ho pensato all’ospedale e quante idee, progetti sono passati per la mia testa ed ora essere qui mi sembra davvero solo… surreale!
Certo, le sfide di questa missione e di quest’ospedale da mandare avanti giorno dopo giorno sono tante e talvolta sembrano anche troppo grandi.
I diversi “film” e i non pochi progetti che in questi mesi avevo idealizzato si sono scontrati con la dura realtà dell’Africa, con la mancanza spesso di strumenti adatti, di risorse di base come l’elettricità continua, di fondi, di capacità e di conoscenze specifiche e chissà di quanto altro ancora, eppure siamo ancora qua ed è davvero una benedizione del cielo soprattutto per noi missionari, ancora prima che per la gente che riceve il nostro “servizio”, esserci!
È vero – ed in questi anni di vita missionaria l’ho sperimentato sulla mia pelle – come “i poveri ci evangelizzino” annunciandoci nella loro quotidianità e semplicità Cristo e la Verità ma adesso ne sono certo più che mai dall’interno dell’ospedale, che sono loro ad aiutarti a tornare all’essenziale, a orientarti ancora e ancora al vero Senso, a quell’esserci oggi, a “resettarsi” per poter tornare a vivere, semplicemente, senza troppi “ghirigori”, senza troppi extra.
E allora, nel mese missionario, davvero non posso che riconoscermi come “ragazzo fortunato”, benedetto per questo grande dono che è la vita #inmissione, con la speranza che in tanti presto possano venire a trovarmi e a trovarci per gustare, davvero e in prima persona, la bellezza, la freschezza e la semplicità del “darsi”.

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