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Papa Benedetto XVI «L’ultima parola della storia sarà la comunione»
Di Giacomo Manzo
Questo numero della rivista Nel Segno del Sangue è dedicato per la maggior parte all’approfondimento della spiritualità della comunione vista come centrale nella nostra fede cristiana. Certamente la fondatrice del Movimento dei Focolari, la serva di Dio Chiara Lubich è stata una delle figure più importanti della Chiesa dei nostri tempi in questo senso.
Così come lo stesso Papa Benedetto XVI, il cui magistero è stato tutto segnato da questa prospettiva.
Margaret Karram, oggi presidente del Movimento dei Focolari, ha infatti ricordato che, quando era ancora cardinale, Joseph Ratzinger fu invitato da Chiara Lubich per un dialogo con le focolarine, riunite in occasione degli esercizi spirituali annuali, e a un certo punto lui pronunciò queste parole a proposito del futuro della Chiesa e dell’umanità: «L’ultima parola della storia del mondo sarà la comunione, sarà il diventare comunione, non solo tra noi ma, essendo incorporati nell’amore trinitario, diventare comunione universale, dove Dio è tutto in tutti».
Parole che, quando le ascoltiamo, giustamente rimangono scolpite nel nostro cuore perché ci dicono qual è veramente il fine, la meta della nostra vita cristiana.
Tutto questo si lega fortemente alla nostra spiritualità del sangue di Cristo, che ci indica proprio quella “gioia della comunione” che, all’inizio, richiede un sacrificio, ma il cui frutto è la vera bellezza della nostra vita. Papa Benedetto XVI ha spesso predicato sul sangue di Cristo e, quando lo ha fatto, ha messo più volte in luce questa dimensione più mistica che ascetica, quella della relazione d’amore tra Dio e noi come suo popolo. In un suo testo di teologia fondamentale lui scriveva che la gioia rappresenta la «denominazione programmatica di ciò che il cristianesimo è nella sua essenza». Il vangelo comincia con il “rallegrati” detto dall’angelo a Maria e lo stesso termine “vangelo” ci indica qualcosa di lieto e gioioso. Quando nelle sue riflessioni, si chiedeva “che cosa rende veramente felice l’uomo?”, poi argomentava che ogni uomo ha bisogno dell’approvazione, del fatto che qualcuno dica: «è giusto che tu ci sia». Da qui deriva la definizione che il teologo tedesco dava dell’amore come del «volere l’esistenza degli altri». Sottolineava in quel testo anche la bellezza della lingua italiana per l’efficacia dell’espressione: «ti voglio bene», in cui appunto è presente questo verbo «ti voglio» ossia «ti affermo», «è bene che tu ci sia». Ecco questo è il vangelo, il lieto messaggio che Dio dice all’uomo, ad ogni uomo: «è bene che tu ci sia». Ognuno. Quindi, non ci sono dubbi che la Chiesa si manifesta come tale quando «dona all’uomo la festa» di una comunione che vince la solitudine: «chi crede non è mai solo».
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