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Quello che le parole non dicono

Di Federico Maria Rossi

Narra la leggenda che, quando i padri conciliari a Trento, a metà del Cinquecento, dovettero decidere se ammettere l’uso liturgico della musica polifonica, fossero in generale più orientati a bandirla, in favore del solo canto gregoriano. Ma, per scrupolo, decisero di ascoltare una recente composizione di Giovanni Pierluigi da Palestrina, la Missa Papae Marcelli. Ne furono folgorati — e da allora alla musica polifonica è permesso accompagnare le funzioni religiose nelle chiese cattoliche. Quello della musica nella liturgia è un tema che fa discutere fin dai primi tempi del Cristianesimo, tanto che già Agostino si interrogava sull’opportunità di introdurre il canto durante la preghiera. Questo perché le parole, anzi, la Parola, hanno un ruolo centrale nella liturgia cristiana e i pastori della Chiesa sempre si sono preoccupati che la sua preminenza non fosse mai messa in ombra dal resto — dai gesti, dalle luci, dai paramenti e, sì, anche dalla musica.

Eppure, essendo noi persone che uniscono corpo, psiche e spirito, non preghiamo con il solo intelletto, con la sola voce, con il solo pensiero. Preghiamo con il nostro corpo, tanto è vero che durante la messa ci alziamo, ci sediamo, ci inginocchiamo; preghiamo con i nostri sentimenti, con la nostra gioia e con la nostra paura, con il nostro dolore e con il nostro giubilo; preghiamo con la contemplazione, con gli occhi del corpo e con quelli dello spirito, con la compassione e con il nostro abbandono. Per questo, commentando la Messa dell’Incoronazione di Mozart, così può scrivere don Luigi Giussani: «Con il grido dell’ “Agnus Dei”, tradotto in note in questa composizione, Mozart si è guadagnato sicuramente la misericordia di Dio: musica e voce si ergono potenti di fronte all’Eterno, raggiungendo quella perfezione somma che è spettacolo di bellezza sempre desiderato».

Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) è una figura complessa. Enfant prodige, portato fin dalla più tenera età dal padre Leopold nelle corti reali e imperiali di tutta Europa; esecutore sopraffino e compositore geniale; ma anche uomo di passione, di grandi sogni e di grande ingenuità; persona cordiale e divertente, ma anche poco pragmatica e facile a scambiare lusinghe per promesse concrete (con grande disappunto del padre). Eppure, scrive Vera Drufuca, «Mozart, riguardo al suo desiderio di ciò che avrebbe voluto fare, aveva le idee chiare: Dio gli aveva dato un dono eccezionale per la musica, e questo era più che sufficiente per capire che era quella la strada che doveva percorrere». Nelle opere di Mozart c’è l’espressione di “un uomo che può”: un uomo che, attraverso la musica, può dire quello che molti hanno bisogno di esprimere e non riescono. Nelle melodie allegre, nei ricami di note, nelle cascate di suoni e nelle arie leggere non si nasconde solo una difficoltà tecnica che si stempera nella naturalezza del fraseggio, ma anche la capacità di un uomo di mettere il proprio animo nella musica che scrive, la necessità di un uomo — di ogni uomo — di far emergere il proprio mondo interiore.

La Messa per l’Incoronazione, scritta per ricordare proprio l’apposizione di una corona, donata da papa Benedetto XIV, sull’immagine della Vergine nella chiesa di Maria Plain a Salisburgo, fa proprio questo. Il Kyrie è «un grido, una sofferta invocazione ripetuta tre volte»; il Gloria squarcia i cieli e si riempie della grandezza divina, trascinandoci in una «festa senza ombre, dove ogni cosa diventa il segno della potenza di Dio»; il Credo sottolinea, con la parola e con il trattenersi del ritmo, i passaggi principali della fede cristiana — lo stupore dell’incarnazione, la contemplazione della passione, la violenza della crocifissione, la speranza della risurrezione; il Sanctus esplode in un inno di lode che è luce fatta musica, gioia immensa che riempie i cuori e le orecchie. Ma è nell’Agnus Dei che Mozart compie un piccolo miracolo: l’invocazione che chiede pietà è cantata dal solo soprano, sopra un’aria struggente e profondamente appassionata — ma la promessa di pace è affidata al rincorrersi delle voci di tutti i solisti, per sfociare nel canto del coro intero. Perché «la pace è un bene non solo per quella donna [che chiede pietà, ma si fa] promessa eterna per l’uomo di ogni tempo». Per questo possiamo anche oggi pregare con la musica di Mozart: perché esprime il desiderio d’Eterno insito nel cuore di ogni uomo.

Echi dell’anima – La musica dentro di noi/4

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