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Questa è sempre casa tua

Di card. Matteo Maria Zuppi

“Questa è sempre casa tua”. È la frase che tutti i figli vogliono ascoltare dai loro genitori. In realtà è la frase che vorremmo ascoltare dopo ogni incontro, come frutto di qualsiasi legame di amicizia. È quanto rassicura Gesù, che è venuto a preparare un posto in quella casa del Padre dove vuole che siamo accolti, non da ospiti ma da figli, perché i suoi siano dove è lui.
Don Terenzio, Missionario del Preziosissimo Sangue, ci coinvolge nella sua passione per il Signore, piena di umanità, di relazioni, di legami che lo accompagnano e lo aiutano a scoprire la bellezza di essere cristiani. Il libro ci fa stare un po’ con lui nella sua casa, nella casa del suo cuore e dei suoi pensieri, con tutti i “suoi”. Non sono solo i genitori, che ci aiuta ad amare descrivendoci la loro sapienza umana e cristiana, ma gli infiniti incontri che ci racconta con i tanti dettagli dell’innamorato, che non smette di sorprendersi del dono che è il prossimo e che lui può essere per gli altri. Troviamo tanta sapienza umana e tanta Parola di Dio e Terenzio ci aiuta a leggere le situazioni, così concrete, descritte senza alcun filtro se non quello dell’amore, unico modo per vedere nel profondo e saper leggere quello che altrimenti è solo “guardare”. Si sente tanta aria di casa nel suo modo diretto, affabile, sensibile, con le emozioni, i pensieri, le sofferenze, le inquietudini che condivide. È un libro che ci fa camminare tanto e sempre pieno di Parola di Dio e di vita concreta, di situazioni, una vera narrazione della storia, vista dalla sua esperienza ma sempre illuminata dalla Parola di Dio, che permette di trasformare quello che può apparire cronaca e caso, in storia d’amore e Provvidenza di Dio.
Cosa diventa il Vangelo senza le storie, i nomi, le situazioni e senza il cuore dei nostri sentimenti? E possiamo anche rovesciare la domanda: cosa diventa lo spazio nel quale viviamo, che tanto cattura delle nostre agitazioni, a volte così ristretto, altre specchio per l’infinito studio del nostro ego oppure spazio nel quale ci si perde, senza il tempo che ci permette di esserne liberi? Il tempo è superiore allo spazio! Ma il tempo non ci chiede di pensarci fuori dal tempo, ma di sapere leggere il futuro, costruirlo, vederlo, sfuggendo alla tirannia del presente e quindi leggere lo spazio in maniera profonda, mai compiuto in sé, ma sempre per quello che contiene per davvero e attraverso il quale dobbiamo arrivare.
La Parola di Dio ci fa specchiare anche nella nostra realtà di peccatori, nei nostri e negli altrui limiti, senza che questi diventino una condanna perché “Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna” (1Gv 1,5). E la luce di Dio è l’amore che rende belli, attraenti, significativi ogni incontro all’apparenza casuale, anonimo, come quello della donna che aveva perdite di sangue e che Gesù cerca con ostinazione, perché non resti senza volto e senza nome.
Ecco quello che viviamo con Terenzio, amico di Gesù, che vuole trasmettere la forza e la bellezza tutta umana e tutta spirituale dell’amore di Gesù che la vita vuole piena. Gli incontri di Terenzio sono liberi da etichette esteriori, da giudizi che spesso impediscono l’incontro. “Chi sei tu, che ti fai giudice del tuo prossimo?” (Gc 4,12), ricorda a sé stesso e a noi Terenzio, che cerca di stabilire un legame con tutti, perché a tutti dice “tu mi appartieni” e non “non mi interesso di te”. Dobbiamo essere liberi dai nostri giudizi che poi portano, lo sappiamo bene, a farci giudici non richiesti e non capiti, spesso solo esteriori, incapaci di comprendere le domande vere del cuore e finendo tristemente per pensare di essere migliori o che la loro condizione sia immutabile. Terenzio rivela tanta intelligenza umana nei molteplici incontri, nelle relazioni, segreto della vita e del Vangelo che è relazione, che non passa indifferente, ma si lascia coinvolgere nelle nostre relazioni e cerca di stabilirle con noi. Ecco perché c’è tanta santità della porta accanto che risplende, non parlandone astrattamente, che poi finisce per renderla antipatica o disumana, ma proprio facendo parlare la concretezza. Si, come cristiani siamo chiamati ad essere santi perché è proprio vero che “Dio, non ci tratta da burattini, non usa neppure fotocopiatrici o scanner per replicarci”. “Quanto è importante sfruttare ogni occasione per instaurare un rapporto di conoscenza e fiducia che, nel migliore dei casi, porterà all’apertura del cuore!”. E non dobbiamo metterci noi a misurarla! Leggendo il libro contempliamo la vita, penetrando la sua profondità, lasciando il giudizio a Dio.
Don Terenzio rivela di essere proprio un figlio di San Gaspare del Bufalo, ad iniziare dal suo gusto nell’incontro umano, proprio come viene descritto San Gaspare, senza supponenza, presunzione, vanagloria che diventa e nutre il paternalismo, forma mal celata di superiorità. “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).
“Nun l’appriezz tre sord!”. Questa frase in dialetto beneventano, usata dal papà, letteralmente significa: “Non la valuti tre soldi”. Noi che valiamo più dei famosi passeri! Per Gesù siamo preziosissimi, per tutto il mondo che portiamo dentro e solo perché amati da Dio. Terenzio non ci nasconde le domande più vere che lo percorrono, veri esami di coscienza: “Come ho accolto la Sua Volontà? Come ho utilizzato i doni che Dio ha continuato a elargire con generosità?
Come sono stato a servizio delle persone incontrate? Cosa ho trasmesso e ricevuto?”. Anche perché lo scrivere (e per noi il leggere!) riporta alla luce persone, gesti, parole, incontri, il servizio pastorale… son le domande loro collegate.
Una riflessione che ci interpella, pagina dopo pagina. Tutti siamo chiamati a diventare contemplattivi come diceva don Tonino Bello: non per intimismi
egocentrici che poco hanno a che fare con il Signore, ma perché innamorati di Dio e appassionati dell’uomo, per coniugare l’incontro con Dio al servizio
del prossimo. Sempre con tanta amabilità verso tutti da regalare e con la quale sapere vedere le persone.
“Una volta un ragazzo mi ha detto che pregava tutti i giorni. Alla mia richiesta ha precisato anche come: «Due segni di croce, uno dopo l’altro, a brevissima distanza: così inizio e finisco la preghiera!»”. Non c’è limite all’annuncio del Vangelo, che coinvolge sempre tutti. Come per San Gaspare che si portò nei luoghi più distanti e pericolosi. Pochi sanno che il giovane Gaspare fu il primo a ideare il teatrino parrocchiale, perché ci teneva che i ragazzi fossero santamente allegri, e che scriveva egli stesso drammi e commedie.
Parla, colloquia quasi con il “Caro lettore” che siamo noi, al quale insegna ad assumere in ogni situazione un atteggiamento di compassione e identificazione.
“Dio, però, non obbliga, non mette la sua volontà, il suo progetto, al di sopra della nostra libertà. Sta a noi scegliere. Siamo liberi di modificare tutto ciò che di meraviglioso il Dio dell’amore ha pensato per noi”. Ci accompagnano alcuni testimoni come don Tonino Bello e come il cardinale Van Thuan, vietnamita, che visse a lungo nelle prigionie.
Grazie a Terenzio perché ci fa sentire a casa e come in una conversazione diretta, fraterna, amichevole ci ricorda la sua, e la Chiesa. “Questa è sempre casa tua” indica la disponibilità ad accogliere e il messaggio che diamo a chiunque, perché inizi o riprenda il proprio cammino di fede. “La sua casa siamo noi.
Lui può essere la nostra casa, per sempre”. Sì, perché “Lui rende l’impossibile possibile, fa fiorire il deserto, dona vita nuova. Davanti alle macerie… Sogna!”.
Ecco, non chiudendo gli occhi ma aprendoli, insieme a don Terenzio.

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