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Spigolature da scrittori del novecento: Eugenio Montale

Di Pierino Montini

Sono appena trascorsi quaranta anni dalla morte di Eugenio Montale (1896-1981), Premio Nobel per la Letteratura nel 1975. Nessun poeta italiano del Novecento ha saputo trascrivere poeticamente un secolo di inquietudini sociali, ideologiche e morali meglio di lui. I titoli delle sue raccolte poetiche comunicano il senso di una dimensione umana in crisi, bisognosa di una nuova impostazione riflessiva. Ossi di seppia (1925) indica il resto di un qualcosa che non c’è più: i residui della Prima grande guerra (O). Occasioni (1939) illustra il contrario di ciò che potrebbe costituire il desiderio di una benchè minima certezza: siamo nella Seconda grande guerra.
La bufera ed altro (1956) enuclea i sentimenti della distruzione generati dalla guerra (Bufera). Ciò che segue costituisce un insieme di riferimenti cronologici la cui intenzione non è quella di evidenziare il contenuto ma l’involucro: Satura, Quaderno di quattro anni, Diario del ’71 e del ’72 (D).
Chi non ricorda il “rovente muro d’orto”, “le forme − della vita che si sgretola” e “uno scalcinato muro’? Versi che descrivono “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, perché costretti a “seguitare una muraglia – che ha in cima cocci acuti di bottiglia” (O). Siamo ben distanti dal percorso intrapreso da Dante, il quale, partendo dalla “selva oscura”, sfiora il mistero della Sacralità. La poesia di Montale gronda di Terrestrità.
Nei testi che raccolgono articoli scritti per il Corriere della sera si trovano accenni al suo discorso su Dio. Ci riferiamo a Fuori di casa (F) e a La farfalla di Dinard.
In Fuori di casa scrive che ad Edimburgo, in Inghilterra, c’è una chiesa del tutto particolare: ha forma poligonale con intorno una lunga scritta. Un giorno Montale si recò lì con l’intento di curiosare il senso di quella scritta. La prima frase era: “God is not here… Dio non è quì…”. La seconda frase era: “God is not here… Dio non è qui…”. La terza frase era ancora: “God is not hereDio non è qui…”. Cioè: Dio non è… dove la vita è gradevole; … dove Lo si desidera; … dove si crede di trovarLo”. E così via. Ancora ed ancora. Aveva girato più volte intorno all’edificio, attirato dal susseguirsi di quei “God is not here… Dio non è qui…”.
Sperava che, dopo tutti quei giri, un’affermazione avrebbe risolto tutte quelle negazioni in un “God is where… Dio è dove…”. Ma non era così. Anche l’ultima frase diceva: “God is not where… Dio non è dove è inutile cercarLo…”. A quel punto Montale esclamò: “Ma, insomma, dov’è Iddio, dov’è?”. Non aveva neppure terminato di parlare. Gli si avvicinò un signore, il quale gli disse che la soluzione non era in quelle scritte ma nella Bibbia. Così, dando mano ad una Bibbia tascabile, iniziò a leggere ad alta voce alcuni versetti dai quali, secondo lui, si poteva dimostrare con meticolosa scientificità dov’è la dimora di Dio. Altre persone si radunarono intorno ai due per correggere e per contraddire quanto quello diceva. In poco tempo si formò un gruppo numeroso. Montale sottolinea che le opinioni dei partecipanti erano contrastanti, più numerose dei presenti. La cosa andava per le lunghe. Si frammentava in tanti pareri i quali, a loro volta, si suddividevano in altre opinioni ed in altre opinioni ancora più sottili. Disorientato, Montale decise di allontanarsi. Ripercorse il tutto un’altra volta. Al ritorno trovò solo quel signore che, appena lo vide, gli lanciò uno sguardo quasi per scusarsi perché il tutto si era risolto in un nulla (F, 17). Che cosa ci vuole comunicare Montale con questo episodio? Abbiamo avuto la fortuna di poterglielo chiedere.
Ci ha spiegato che, secondo lui, ognuno di noi deve fare da solo la propria ricerca di Dio. Quel giorno terminò quel colloquio citando i versi di una sua poesia intitolata Come Zaccheo: “Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro − per vedere il Signore se mai passi − Ahimé, non son un rampicante ed anche − stando in punta di piedi non l’ho mai visto” (D,18). Ma, siamo sicuri, per lui non è stato del tutto così.

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