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Una casa per i Missionari in Albano

Lug 30, 2021

Di Pietro Battista

Don Giovanni Merlini, nella Istoria della Casa di Missione di Albano, scrisse: «L’entusiasmo suscitato dal canonico del Bufalo e dai suoi missionari, in queste Missioni, generò nella popolazione il desiderio di avere nel territorio una presenza stabile di quei sacerdoti».
L’entusiasmo e il desiderio del popolo, suscitati dai missionari fin dalle prime predicazioni furono come il benestare all’idea del Cardinal Cristaldi e del Vicario Generale Mons. Francesco Spolverini, il quale sognava la rinascita del Monastero e della chiesa di San Paolo con la presenza di una comunità religiosa. Questa realizzazione avrebbe riportato l’Opera come l’aveva ideata il Papa Onorio IV. Il Vicario Generale era convinto che la presenza dei Missionari del Preziosissimo Sangue, con la loro preparazione culturale, spirituale e con il forte dinamismo, avrebbero creato un centro di spiritualità in grado di animare non solo la cittadina di Albano ma tutta la diocesi. Il cardinale Galleffi, vescovo di Albano, incaricò il suo Vicario per prendere i primi contatti con il duca Salvatore Cesarini, succeduto alla Famiglia Savelli come Patrono del Monastero di San Paolo.
Questi fece presente che per realizzare la cessione del Monastero era necessario rimuovere alcune difficoltà giuridiche. Prima di tutto bisognava chiarire la posizione dei Padri Gerolamini. Essi da venti anni avevano abbandonato il Monastero ma restavano ancora giuridicamente i proprietari. Lo stesso abate, Ippolito Monza, aveva riservato per sé, l’uso di un appartamento per passarvi brevi periodi. Bisognava inoltre chiarire a quale titolo il Papa Pio VII aveva concesso al Seminario di Albano e al Capitolo Lateranense di usufruire rispettivamente di 100 e 277 scudi annui della dote del Monastero. Per avere il chiarimento, il duca Salvatore Cesarini scrisse al Papa Pio VII, ponendo due quesiti:
1) Se fosse stato a conoscenza, prima di assegnare i 100 scudi annui al Seminario di Albano e i 277 scudi al Capitolo Lateranense, che vi era su quella dote un Diritto di Patronato.
2) Se avesse avuto intenzione di operare una deroga a favore del Seminario e del Capitolo Lateranense.
Il Papa, nella risposta, affermò che, facendo la concessione di quelle somme, né conosceva che vi fosse un diritto di Patronato, né aveva avuto intenzione di operare una deroga.
Il duca, avendo avuto questi chiarimenti, chiese al Pontefice di voler concedere quel monastero ai Missionari del Preziosissimo Sangue, visto che i Gerolamini non intendevano più tornare nel monastero di Albano.
Pio VII il 9 marzo 1821 emanò il rescritto: «Encomiando lo zelo del Duca, (Salvatore Cesarini) Patrono del monastero di San Paolo di Albano, già da lungo tempo abbandonato dai Monaci Gerolamini, surroghiamo ai suddetti (Gerolamini) la Pia Unione dei Sacerdoti Missionari sotto il titolo del Preziosissimo Sangue e di San Francesco Saverio, accordando ad essi il detto Monastero con tutte le pertinenze e i diritti».
Questo Rescritto dava al cancelliere diocesano la facoltà di redigere l’atto di cessione del monastero e della chiesa di San Paolo ai Missionari del Preziosissimo Sangue.
Appena il canonico Gaspare del Bufalo conobbe il documento di Pio VII, comunicò al Vicario Generale della diocesi di Albano, il nome di don Giovanni Merlini come primo Superiore della Casa di Missione: «Sabato prossimo verrà il Superiore nominato per codesta Casa di Albano in compagnia di due altri compagni e del signor Nicola Ratti per l’atto da farsi in cancelleria dove si produrranno i rescritti Pontifici per l’istallazione dell’Opera. Laus Deo» (Epistolario, II, 398).
Il 17 marzo 1821, il Cancelliere Vescovile, canonico Giuseppe Marucchi redasse l’atto di possesso, presente don Giovanni Merlini, il Vicario Generale Mons. Francesco Spolverini, il signor Nicola Ratti come rappresentante del duca Cesarini e i due Missionari. Questo atto diede ai Missionari, non solo la proprietà del monastero di San Paolo ma anche il diritto di percepire la dote ad esso legata. Don Giovanni, prima di lasciare la Cancelleria, fissò la data del 25 marzo per l’apertura della terza Casa di Missione. Poiché la maggior parte del monastero era occupata dagli inquilini che si erano sistemati abusivamente, dopo gli avvenimenti del 1810, il Vicario Generale promise di impegnarsi, personalmente, per sollecitarne lo sgombro.

(Continua)

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